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David

Bernini Gian Lorenzo

(Napoli 1598 - Roma 1680)

La scultura, l’unica di soggetto biblico tra quelle eseguite da Gian Lorenzo Bernini per Scipione Borghese, raffigura David nell’istante che precede il lancio della pietra che colpirà il gigante Golia, chiamato dai Filistei per combattere contro l’esercito israelita del re Saul. A terra si trovano la corazza donatagli dal re Saul e una cetra, consueto attributo dell’eroe, qui significativamente terminante in una testa d’aquila, evidente testimonianza della committenza e dell’intento celebrativo del casato Borghese.
Per il David Bernini aveva pensato ad una collocazione addossata ad una parete della Stanza del Seneca, attuale Sala I, che avrebbe esaltato nello spettatore la percezione dello sviluppo dell’azione attraverso la torsione del corpo e delle braccia contratte sulla fionda, fino ad arrivare alla visione del volto concentrato nello sforzo del momento (nei cui tratti, secondo le fonti, andrebbe riconosciuto lo stesso Gian Lorenzo). Il coinvolgimento dello spettatore nello spazio dell’azione drammatica era inoltre accentuato dalla collocazione su un basamento più piccolo dell’attuale. Spostato alla fine del Settecento al centro della sala II, il David mostra nella parte posteriore le aree non finite dall’artista perché non destinate ad essere viste dallo spettatore. Segno della straordinaria sicurezza con cui affrontava il suo lavoro sin dagli anni giovanili.

Scheda tecnica

Inventario
LXXVII
Posizione
Datazione
1623-1624
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
marmo bianco (di Carrara?)
Misure
altezza cm 170
Provenienza
Cardinale Scipione Borghese, 1624; Inventario Fidecommissario Borghese, 1833, C, p. 47, n. 87; Acquisto dello Stato, 1902.
Mostre
  • 1998 Roma, Galleria Borghese
  • 2017-2018 Roma, Galleria Borghese
Conservazione e Diagnostica
  • 1958 E. Pedrazzoni
  • 1997 C.B.C. Coop. a.r.l.

Scheda

Bernini raffigura David mentre sta per scagliare la pietra che colpirà a morte il gigante Golia, chiamato dai Filistei per combattere contro l’esercito israelita del re Saul. A terra, tra le sue gambe, sono poggiati gli attributi tradizionali dell’eroe biblico: la corazza, donatagli dal sovrano e non utilizzata perché troppo ingombrante, e la cetra, con cui David intonerà un Salmo di ringraziamento a Dio dopo aver ucciso Golia. Lo strumento qui, in modo significativo, termina in una testa d’aquila, uno degli animali araldici dei Borghese, quale evidente testimonianza della committenza dell’opera e dell’intento celebrativo del casato: alla famiglia si augurava in tal modo di rinverdire le proprie glorie dopo il pontificato di Gregorio XV Ludovisi, che era stato poco favorevole ai Borghese e che si sarebbe concluso nel luglio 1623.

Un’opera del medesimo soggetto era stata commissionata nel marzo di quell’anno a Bernini dal cardinal Montalto per la sua villa. La morte precoce del cardinale ne aveva bloccato la realizzazione nel mese di giugno, ma ben presto Scipione Borghese decise di rilevare la commissione. Per dedicarsi a questa nuova scultura, Bernini nel 1623 dovette interrompere i lavori per l’Apollo e Dafne e riuscì a terminarla in soli sette mesi di lavoro, come attesta Filippo Baldinucci, uno dei primi biografi dell’artista (1682, p. 8).

La scultura in origine era addossata a una parete, come testimoniato dal fatto che posteriormente non è rifinita ed è priva di parte del tallone sinistro (completato nei restauri moderni). Essa, infatti, ha un solo punto di vista, un principio compositivo che rimane fondamentale in tutta la produzione dell’artista. Qui è posto esattamente sull’asse centrale tra la figura e l’occhio dell’osservatore: in tal modo, e grazie anche all’accorgimento tecnico di un basamento più piccolo dell’attuale, il coinvolgimento dello spettatore nello spazio dell’azione drammatica risultava accresciuto. Egli, infatti, si doveva trovare di fronte alla statua esattamente al posto di Golia, per essere emotivamente coinvolto e riuscire a “vedere” con l’immaginazione l’imminente lancio del sasso.

La percezione dello sviluppo dell’azione era affidata alla torsione del corpo e delle braccia contratte sulla fionda, e alla visione del volto concentrato nello sforzo del momento. Nella figura di David, secondo le fonti, andrebbe riconosciuto lo stesso Gian Lorenzo: Baldinucci racconta che il cardinal Maffeo Barberini – che di lì a poco sarebbe stato eletto pontefice col nome di Urbano VIII – si dilettasse a reggere lo specchio con cui l’artista si ritraeva in quest’opera. L’autoidentificazione dello scultore con l’eroe biblico è densa di significato. Bernini si rappresenta come un lottatore che sfida il blocco di pietra, da lui trasformato in carne, tendini, vello, corda; ma affronta anche l’ombra ciclopica del David di Michelangelo, contro cui si scaglia con tutto il suo furore innovativo e la sua ambizione. Il maestro toscano, infatti, aveva raffigurato David nella tradizionale posa stante, mentre, ben saldo sulle gambe, si preparava a fronteggiare il nemico. Bernini ne cambia l’iconografia corrente e raffigura l’eroe biblico in azione, con il corpo sbilanciato e in torsione. Egli usa la corazza con la duplice funzione di elemento narrativo e di terzo punto di appoggio, necessario per bilanciare la posa ardita della scultura. Una torsione, quella del David berniniano, che mostra evidenti somiglianze con il Polifemo affrescato da Annibale Carracci in Palazzo Farnese nonché col cosiddetto Gladiatore Borghese, celebre statua marmorea di Agasias risalente al I secolo a.C., al tempo esposta nell’attuale sala VI della villa e oggi al Louvre.

Il David venne inizialmente collocato nella Stanza del Seneca, corrispondente all’attuale Sala I, della Villa Pinciana, dove rimase fino al 1821 quando fu trasferito nella Stanza di Apollo e Dafne, oggi Sala III, per poi essere spostato nella loggia del piano superiore, quindi nel salone e infine nell’attuale posizione. Un modello in terracotta raffigurante il David è conservato a San Pietroburgo nel Museo dell’Ermitage. Esso è molto dettagliato e differisce dall’opera definitiva per alcuni particolari, elemento questo che alcuni hanno letto come indizio di un utilizzo dello stesso per presentare il lavoro al committente (Androsov, in Gian Lorenzo Bernini, 1999, p. 316, cat. 29); altri studiosi, invece, considerano la terracotta come un prodotto di diversa mano (Schütze 1998, p. 179 nn. 50, 53; Coliva 2002, pp. 15-17, Dickerson 2012, p. 373 n. 57).      

Sonja Felici




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