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Atalanta e Ippomene

Guido Reni


Guido Reni, Atalanta e Ippomene, 1615-1618 circa, olio su tela, 192 x 264 cm, © su concessione del Ministero della Cultura – Museo e Real Bosco di Capodimonte, Napoli

Nel libro X delle sue Metamorfosi Ovidio narra la storia di amore e inganno che lega Atalanta, principessa dell’Arcadia, a Ippomene, giovane e non corrisposto innamorato. Decisa a conservare le sue abilità di cacciatrice, che un oracolo vaticinava avrebbe perduto insieme alla verginità, Atalanta sfida i suoi molti pretendenti a superarla in una gara di corsa: il vincitore l’avrebbe avuta in sposa, gli altri sarebbero stati uccisi. Ippomene  vinse grazie alla complicità di Afrodite che gli donò tre pomi d’oro da lei raccolti nel giardino delle Esperidi e da usare per distrarre la fanciulla.

Guido Reni  coglie il culmine drammatico e narrativo di un mito in genere poco rappresentato.  Atalanta è raffigurata  mentre si piega a raccogliere i pomi dorati, mentre Ippomene si avvantaggia lanciandosi al traguardo, alla vittoria e alle nozze. I loro piedi si incrociano al centro del dipinto, nell’imitazione di figure antiche tratte da un rilievo romano con storie bacchiche. I corpi sono delineati con grazia, nonostante la potenza atletica richiesta dal soggetto.

Di questa monumentale tela mitologica, fatta acquistare dai Borbone a Roma nel 1802 e trasferita nel Real Museo Borbonico nel 1854, esiste una ulteriore versione oggi al Prado di Madrid, che si ritiene eseguita successivamente. L’esemplare napoletano esibisce infatti una attenzione al dinamismo cromatico e chiaroscurale che Guido intensifica dopo i primi anni romani di studio sugli originali caravaggeschi e che pratica molto nelle opere del secondo decennio, per esempio nella Strage degli innocenti e in Lot e le figlie, entrambe in mostra. Con la Strage questo dipinto condivide anche il trattamento dei corpi in tensione, la definizione scultorea delle muscolature e la ricerca di un plasticismo quasi marmoreo, esaltato dal terreno bruno e dall’orizzonte crepuscolare, dove giorno e notte scivolano l’uno sull’altra. 

Il dipinto si trova nella sala degli Imperatori per suggerire una ulteriore riflessione sulla possibilità di dipingere la scultura: in Guido i corpi statuari sembrano bloccati dalla perfezione della pittura, mentre nel Plutone e Proserpina di Gian Lorenzo Bernini assistiamo al potere quasi magico dello scultore che riesce a animare nel marmo i suoi personaggi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 




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