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Eros in ceppi

Arte romana, da originale ellenistico


La statuetta raffigura un Eros fanciullo castigato in quanto discolo, tema ampiamente trattato nella letteratura e nelle arti figurative. La scultura Borghese segue un archetipo inquadrabile nell’ambito della prima epoca ellenistica con caratteristiche riconducibili all’opera Prassitelica. Numerose sono le repliche note, che si discostano da quella Borghese per alcuni particolari. Due esempi a Firenze, uno a Palazzo Pitti e uno a Palazzo Corsini al Prato. A Roma una scultura, purtroppo mutila, è conservata al Museo Nazionale Romano e una a Palazzo Corsetti. Infine tre busti, due ai Musei Vaticani, nella sala dei Candelabri e uno al Museo Nazionale di Napoli.
Il bambino, in piedi, poggiato a un tronco, è ritratto intento ad asciugarsi le lacrime con le dita della mano destra. Una catena a più maglie, trattenuta in vita da una cordicella, scende lungo la gamba sinistra fino a giungere a un anello intorno alla caviglia. Il corpo è nudo mentre il capo è coperto da un’acconciatura composta di un tessuto che trattiene le ciocche dei capelli.

Scheda tecnica

Inventario
CXIII
Posizione
Datazione
II secolo d.C.
Tipologia
Materia / Tecnica
marmo bianco di Luni
Misure
altezza senza plinto cm. 72; altezza testa cm. 19
Provenienza
Cardinale Scipione Borghese, documentata dal 1619 (Kalveram 1995, p. 245). Inventario
Fidecommissario Borghese, 1833, C., p.50, n. 130. Acquisto dello Stato, 1902.
Conservazione e Diagnostica
  • XVIII secolo - Restauri eseguiti in marmo e stucco: il plinto, il tronco di sostegno con il panneggio sovrapposto, la gamba destra fino a metà della coscia, la gamba sinistra fin sotto al ginocchio, l’avambraccio sinistro con il lembo del panneggio tenuto nella mano, la mano destra (tranne l’indice e il pollice che toccano il viso), la parte superiore della calotta della stoffa sul capo.
  • 1996-1998, Liana Persichelli

Scheda

Il fanciullo è raffigurato in piedi, poggiato a un tronco presente alla sua destra. Il braccio destro è sollevato nell’atto di asciugare le lacrime con il piccolo pugno paffuto, il sinistro invece è piegato e con la mano sorregge il lembo di una veste posta sul tronco. La gamba destra è dritta mentre la sinistra accompagna, flessa, la posizione adagiata del corpo. La figura, dai tratti infantili e forme piene, è nuda, ad eccezione di una catena a più maglie che pende lungo la gamba sinistra annodata in alto ad una cordicella che gli cinge la vita ed in basso ad un anello intorno alla caviglia. Il capo è coronato da una pettinatura di tipo femminile, kekriphalos, con i capelli ordinati in ciocche composte e trattenuti in un lembo di stoffa annodato.  L’iconografia della scultura è ben nota per essere testimoniata da numerose repliche, simili tra loro, che lasciano ipotizzare la comune origine da un unico archetipo, dal quale si discostano solo per piccole differenze. Il confronto più pertinente si può individuare con la statua a Palazzo Pitti a Firenze, dove il fanciullo si poggia ad un pilastrino munito di orecchie e decorato con bucranio (Curtius, 1930, pp.53-62, tav.3, figg.1, 3), identificato da Ludwig Curtius nel 1930 con Eros rimproverato da Nemesi o dalla madre Afrodite. Ancora a Firenze un altro esemplare, fortemente restaurato, è conservato a Palazzo Corsini al Prato. A Roma una scultura, purtroppo mutila, è presente al Museo Nazionale Romano (Candilio, 1981, pp.340-341, n.43), una a Palazzo Corsetti (Matz, Duhn, I, 1881, pp.335-336, n.1155) e due torsi ai Musei Vaticani, Galleria dei Candelabri (Lippold III, 2, 1956, p.125, n.29, tav.58; p.146, n.63, tav.69). Infine un torso, proveniente da Baia ma conservato al Museo Nazionale di Napoli, presenta eccezionalmente delle ali (Curtius, 1930, p.56, nota 7). L’archetipo al quale risale la copia romana Borghese deve appartenere all’ambito della prima epoca ellenistica per i forti influssi prassitelici individuabili nell’impostazione. Il tema era largamente diffuso nelle fonti antiche. Apollonio Rodio ci presenta Afrodite a colloquio con Era ed Atena: “mio figlio ubbidirebbe piuttosto a voi, non a me, giacché, per quanto sfrontato, un qualche ritegno per voi lo avrà pure negli occhi, ma di me non si cura, non ha riguardo e mi provoca sempre. Ho pensato addirittura, non potendone più della sua cattiveria, di fargli a pezzi, in sua presenza, l'arco e le frecce. Tali minacce mi ha scagliato nella sua collera: se non tenevo ferme le mani, quando era ancora capace di dominare la rabbia, poi avrei avuto a pentirmene" (Apollonio Rodio, Argonautiche III, vv. 90-99). La scultura è menzionata per la prima volta nel 1619 nella fattura per la realizzazione del piedistallo negli interventi di restauro: “piedistallo sotto lo schiavetto di noce contornato ad intaglio con fogliami” (Kalveram 1995, p.245: ASV, Arch. Borghese 4173, anni 1607-1623). Iacomo Manilli la nomina, nel 1650, come “statuetta di uno schiavetto che sta piangendo” (Manilli, 1650, p.108) e Domenico Montelatici nel 1700 come “fanciullo schiavo che piange con catena al piede” (Montelatici, 1700, p.300). Entrambi la ricordano nella stanza detta delle tre Grazie (attuale sala IX) posta vicino alla statua del “fanciullo che ride tenendo nelle mani un uccellino” (inv. CXV), probabilmente a sottolineare l’antitesi tra libertà e castigo (Kalveram 1995, p. 245, n.154). In tale sistemazione è ricordata per l’ultima volta nell’Inventario del 1792 (ASV, Arch. Borghese 1007, n.270, p.88, Inventario, 1792). Nel 1821 entrambe le statuette sono menzionate dal catalogo di Visconti, pubblicato postumo da Gherardi de Rossi (Visconti, 1821, II, p.67). Esclusa dall’ingente vendita napoleonica del 1807, la scultura è esposta dapprima nella sala V (l’autore la definisce “Gabinetto o stanza dell’Ermafrodito”: Nibby 1832, p.105), in seguito nel 1888 nella sala III (Venturi 1893, p.30) ed infine nella sua attuale collocazione nella sala VI. L’opera si ritrova raffigurata in un disegno di Carlo Calderi del 1716-1730 commissionato da Richard Topham di Eton (Fabréga-Dubert 2020, Bm.3.40). La raccolta grafica del collezionista, conservata nella College Library di Eton, rappresenta un’inestimabile testimonianza delle sculture antiche presenti negli anni Venti del Settecento nei più importanti palazzi di Roma e di altre città italiane.

Giulia Ciccarello




Bibliografia