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Basilica di Massenzio

Canal Giovanni Antonio detto Canaletto

(Venezia 1697 - 1768)

La tela, in pendant con quella dedicata al Colosseo (inv. 540), costituisce uno dei rari esemplari di vedute romane di Canaletto nelle collezioni pubbliche della capitale. A dominare la composizione è la Basilica di Massenzio, rappresentata di scorcio, a sinistra, con un punto di vista ribassato che ne accentua l'imponenza. La facciata seicentesca della Chiesa di Santa Francesca Romana, tagliata a metà, occupa il lato destro della scena, contrapponendosi anche cromaticamente alla massa basilicale. In secondo piano, al verticalismo del campanile romanico fa da contrappunto il convento a fianco, ornato di camini veneziani, in una disinvolta combinazione di realtà e invenzione tipica del genere del capriccio pittorico. Sullo sfondo si staglia all'orizzonte il profilo poco definito del Colosseo. Se il cielo, definito da larghe pennellate pastose, oscilla tra i toni dell'argento e quelli di un rosa tenue, in primo piano davanti al muretto le tonalità brunite del terreno, enfatizzate da compatte masse rocciose, sono interrotte solo dalle accese macchie di colore degli abiti dei personaggi.

Il dipinto, realizzato intorno al 1754-1755 sulla base di un foglio giovanile dei primi anni Venti, fu acquistato nel 1908 sul mercato antiquario londinese su consiglio di Ettore Modigliani, direttore della Pinacoteca di Brera. Ricondotto in passato a Bernardo Bellotto o alla giovinezza di Canaletto, è stato recentemente riportato alla produzione matura di quest'ultimo, anche se – come già precocemente osservava Roberto Longhi – «la distinzione tra un certo periodo del Canal e il Bellotto è, in verità, ancora da delucidare» (1928, p. 225).


Scheda tecnica

Inventario
541
Posizione
Datazione
1742-1745
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm. 27x36
Provenienza

Londra, Walter I. Abraham. Acquisto dello stato, 1908.

Mostre
  • 1994 Dortmund, Museum für Kunst und Kulturgeschichte
  • 2000 Lodève, Musée de Lodève, Hôtel du Cardinal de Fleury
  • 2002 Città del Messico, Museo Dolores Olmedo Patiño
  • 2015 Aix-en-Provence, Hotel de Caumont
  • 2016-2017 Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza
  • 2018 Roma, Palazzo Braschi
  • 2020 Ajaccio, Palais Fesch-Musée des beaux-arts
Conservazione e Diagnostica
  • 1914 Luigi Bartolucci e Augusto Cecconi Principi (?)

Scheda

Sotto un cielo grigio, che in basso sfuma verso toni rosati, trova spazio a sinistra la messa in scena della facciata nord della Basilica di Massenzio, teatralmente messa in risalto dal punto di vista ribassato. La prospettiva permette di scorgere i soffitti a lacunari delle volte a botte, mentre le fitte ciocche di vegetazione affioranti in cima ai pilastri ne mettono in risalto la sublime frammentarietà architettonica. Quando Canaletto scelse il soggetto della tela, desunto da un disegno giovanile del 1719-20, la Basilica non era ancora nota con tale denominazione: fino agli inizi dell'Ottocento nelle rovine dell'edificio veniva erroneamente riconosciuto il Templum pacis, eretto dagli imperatori della dinastia Flavia per celebrare la vittoria su Gerusalemme (Salatin 2018, p. 92). A controbilanciare il protagonismo del complesso antico, nella zona destra del quadro si impone la facciata seicentesca della Basilica di Santa Francesca Romana, nitidamente definita nei contorni curvilinei, anche grazie al candore del travertino di rivestimento, nonostante il taglio a metà nell'inquadratura. In secondo piano, oltre a un muretto, si scorgono il campanile romanico in laterizio della chiesa, scandito da bifore, e la massa chiara e compatta di un convento, al quale Canaletto aggiunge camini alla veneziana oscillando tra veduta ideata e capriccio architettonico. Dettagli di questo tipo, uniti al ridimensionamento arbitrario delle proporzioni degli edifici, rendono evidente l'interesse primario del pittore che, memore della prima formazione nel mondo del teatro veneziano, è disposto a sacrificare la veridicità topografica in nome di un maggiore equilibrio compositivo (Joyeux, in La Grande Bellezza 2020). All'orizzonte, al centro della tela, si distingue infine il profilo mal definito del Colosseo, appena ombreggiato da macchie di vegetazione cespugliosa. Su tale fondale architettonico organizzato scenograficamente, le poche presenze umane introdotte sul terreno dissestato in primo piano sembrano retrocedere al ruolo di comparse, restituendo il protagonismo agli imponenti edifici circostanti. Gli sparuti gruppi di figure, colti in atteggiamenti disparati – in piedi, adagiati su escrescenze rocciose, appoggiati al muro di cinta, in movimento –, illustrano un campionario di attitudini possibili nei confronti del mondo classico.

Insieme alla timidezza prospettica, la predominanza di colori tenui, distante dalla risonanza luminosa delle opere più evolute dell'artista, aveva indotto parte della critica a riconoscere nella tela un'«impronta prettamente veneziana» tipica del periodo giovanile del pittore (D'Achiardi 1912, p. 82; Ozzola 1913). Non sono però mancate neanche proposte attributive al nipote Bernardo Bellotto (Ashby-Constable 1925; Fritzsche 1936; Parker 1948), oltreché a un autore successivo di incerta individuazione (De Rinaldis 1939). I passaggi di qualità discontinua nel quadro portavano inoltre ad avanzare il nome di Canaletto solo con un prudente grado di incertezza (Longhi 1928; Constable 1962).

La prospettiva cauta, il colorito privo di profondità e la gestione controllata dei passaggi di tono tramite pennellate precise non sono tuttavia elementi sufficienti per alienare del tutto l'opera dal catalogo di Canaletto. Gli studiosi moderni che non propendono per la sicura autografia di quest'ultimo (come Beddington 2006 e Joyeux in La Grande Bellezza 2020) tendono dunque a ricondurre il dipinto al lavoro dell’atelier dell’artista intorno al 1745 (Kozakiewicz 1972, Buberl in Roma Antica 1994) o poco più tardi, a cavallo tra anni Cinquanta e Sessanta (B. A. Kowalczyk in Nolli, Vasi, Piranesi 2005, che poi opta per la mano canalettiana in Canaletto: Rome, Londres, Venise 2015 e in Canaletto, 1697-1768 2018).

Malgrado la tela presenti una più sofisticata regia compositiva rispetto al pendant con il Colosseo, pressoché tutte le datazioni e le proposte attributive a essa riferite rispecchiano quelle dell'altra opera, con cui fu acquistata nel mercato antiquario inglese nel 1908 presso Walter Abraham a un prezzo di 2.500 lire su suggerimento di Ettore Modigliani (Kunstchronik 1909, p. 254). Con la stessa comparve anche per la prima volta su rivista nel 1912, sulle pagine del «Bollettino d'arte» in un articolo dell'allora ispettore della Galleria Borghese Pietro d'Achiardi (D'Achiardi 1912).

La disposizione dei rampicanti, la conformazione delle rocce e la posa delle figure in primo piano rendono inequivocabile la derivazione del dipinto da un disegno ora conservato al British Museum (n. 226), tuttavia più ardito nello scarto prospettico tra lo slancio verticale del campanile romanico e le architetture intorno. Quest'ultimo rientrava nel gruppo di ventiquattro lavori su carta eseguiti dall'artista probabilmente durante il viaggio romano del 1719-20, sebbene siano state proposte anche datazioni più tarde (al 1750 almeno per Marshall 2004, p. 54). Riutilizzati a più riprese durante il corso della carriera del pittore, i disegni sono stati riconosciuti come autografi nel 2001 (Chapman, in Canaletto prima maniera 2001, pp. 43-46) e si trovano oggi custoditi tra il museo inglese e quello di Darmstadt. L'esemplare con la Basilica di Massenzio, in particolare, fu tra i più fortunati della serie. L'artista veneziano lo sfruttò sia per un disegno a penna di tocco impressionistico degli anni Quaranta, ora nella Royal Collection di Windsor Castle, sia per un'ampia tela di formato verticale oggi in collezione privata. Anche Joseph Smith se ne servì per ideare un capriccio intorno al 1720-22, mentre l'incisore veneto Giovan Battista Brustolon, partendo da un album di disegni originali donato dagli eredi di Canaletto alla sua morte, lo incluse nella raccolta delle Vedute di Roma, avviata nel 1770.

Il recupero di un disegno giovanile degli anni Venti intorno al 1754-55, quando Canaletto si trovava a Londra, testimonia dunque il revival di soggetti romani atemporali nei circuiti del collezionismo inglese negli anni del Grand Tour, accordandosi pienamente con la pratica del vedutismo di memoria.

Chiara Pazzaglia




Bibliografia
  • Sammlungen, in Kunstchronik: Wochenschrift für Kunst und Kunstgewerbe, Neue Folge, n. 20, 1909, p. 254.
  • P. D'Achiardi, Nuovi acquisti della R. Galleria Borghese, in Bollettino d'Arte, anno 6, fasc. 3 (31 marzo 1912), pp. 81-82; tav. II, p. 84.
  • L. Ozzola, Le rovine romane nella pittura del XVII e XVIII secolo, in L'Arte, anno XVI, n. 2, 1913, p. 128; fig. 25, p. 121.
  • R. Strinati, La Galleria Borghese di Roma, in Emporium, vol. LX, n. 358, ottobre 1924, p. 604; fig. p. 602.
  • T. Ashby, W. G. Constable, Canaletto and Bellotto in Rome – 1, in The Burlington Magazine for Connoisseurs, vol. 46, n. 266, May 1925, p. 213; tav. 212 G.
  • R. Longhi, Precisioni nelle gallerie italiane: 1. R. Galleria Borghese, Roma 1928, p. 225.
  • H. A. Fritzsche, Bernardo Bellotto, genannt Canaletto, Burg bei Magdeburg 1936, p. 105; fig. 49.
  • H. Voss, [Recensione del libro di H. A Fritzsche, Bernardo Bellotto, genannt Canaletto], in Göttingische Gelehrte Anzeigen, annata 199, n. 5, 1937, p. 196.
  • A. De Rinaldis, La R. Galleria Borghese in Roma, Roma 1939, pp. 30, 61.
  • K. T. Parker, The drawings of Antonio Canaletto, London 1948, p. 51.
  • A. Morassi, Settecento veneziano inedito (II), in Arte Veneta, 1950 (n. 4), p. 47.
  • P. Della Pergola, La Galleria Borghese in Roma, Milano 1955, p. 109, n. 195.
  • W. G. Constable, Canaletto. Giovanni Antonio Canal 1697-1768, Oxford 1962, I, n. 380; II, p. 360.
  • L. Puppi, L'opera completa del Canaletto, Milano 1968, p. 109, n. 217b.
  • S. Kozakiewicz, Bernardo Bellotto, II, Milano 1972, p. 463; fig. 323 p. 466.
  • W. G. Constable, Canaletto: Giovanni Antonio Canal, 1697-1768, Oxford 1989, I, tav. 70, II, pp. 387-388.
  • Roma Antica. Römische Ruinen in der italienischen Kunst des 18. Jahrhunderts, catalogo della mostra (Dortmund, Museum für Kunst und Kulturgeschichte der Stadt Dortmund, 1994), a cura di B. Buberl, München 1994, pp. 177-178.
  • J. Garms, Vedute di Roma. Dal Medioevo all’Ottocento, Napoli 1995, I, p. 83, fig. 77.
  • Peintres de Venise. De Titien à Canaletto dans les collections italiennes, catalogo della mostra (Lodève, Musée de Lodève, Hôtel du Cardinal de Fleury, 2000), a cura di M. Vallès – Bled, Milano 2000.
  • Pintura Veneciana de Tiziano a Longhi, catalogo della mostra (Città del Messico, Museo Dolores Olmedo Patiño, 2002), Città del Messico, 2002.
  • D. Marshall, Canaletto & Carlevarijs, Panini & Piranesi: The Paradoxes of the Serial Veduta, in The Italians in Australia. Studies in Renaissance and Baroque art, a cura di D. Marshall, Melbourne and Florence, 2004, pp. 49-66.
  • B. A. Kowalczyck in Canaletto, il trionfo della veduta, catalogo della mostra (Roma, Palazzo Giustiniani, 2005), a cura di A. Bettagno, B. A. Kowalczyk, Cinisello Balsamo 2005, p. 252.
  • Canaletto in England: a Venetian artist abroad, 1746-1765, catalogo della mostra (New Haven-Londra, 2006-2007), a cura di C. Beddington, London-New Haven 2006, p. 154.
  • Canaletto: Rome, Londres, Venise: le triomphe de la lumière, catalogo della mostra (Aix-en-Provence, Hotel de Caumont, 2015), a cura di B. A. Kowalczyk, Bruxelles 2015, pp. 178-179.
  • B. A. Kowalczyk, scheda in Canaletto, 1697-1768, catalogo della mostra (Roma, Museo di Roma - Palazzo Braschi, 2018), a cura di B. A. Kowalczyk, Cinisello Balsamo 2018, pp. 150-151, n. 39.
  • F. Salatin, Tra memoria pagana e mito cristiano: la Basilica di Massenzio, in Revue Archéologique, n. 65, 2018, pp. 91-108.
  • N. Joyeux, scheda in La Grande Bellezza: L'Art à Rome au XVIIIe siecle, 1700-1758, catalogo della mostra (Ajaccio, Palais Fesch, 2020), a cura di A. Bacchi, L. Barroero, P. Costamagna, A. Zanella, Milano 2020, pp. 111-112, n. 14b.