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David con la testa di Golia

Merisi Michelangelo detto Caravaggio

(Milano 1571 - Porto Ercole 1610)

Il dipinto fu eseguito a Napoli, dove Caravaggio, fuggito da Roma nel 1606 con l'accusa di omicidio, si trovava in esilio. La scelta del soggetto, con la vittoria dell’eroe d’Israele sul gigante filisteo Golia, si deve probabilmente allo stesso pittore. David, infatti, non manifesta un atteggiamento di trionfo ma, triste e malinconico, regge e osserva commosso il capo mozzato di Golia, nel cui viso il pittore raffigura il proprio autoritratto.

Il giovane, inoltre, impugna una spada sulla cui lama compare la sigla "H.AS O S" sciolta dalla critica con il motto agostiniano 'H[umilit]AS O[ccidit] S[uperbiam]', letta insieme al soggetto come un'impressionante testimonianza degli ultimi mesi di vita di Caravaggio. Tale particolare, infatti, renderebbe plausibile l’ipotesi secondo la quale l'artista avrebbe inviato la tela al cardinale Scipione Borghese quale dono da far recapitare al pontefice Paolo V per ottenere il perdono e il ritorno in patria.


Scheda tecnica

Inventario
455
Posizione
Datazione
1606-07 o 1609-1610
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
olio su tela
Misure
cm 125x101
Cornice

Cornice seicentesca decorata con fogliame, melograni e girali d’acanto.

Provenienza

(?) Napoli, 1610 (cfr. Pacelli 1977); Roma, collezione Scipione Borghese, 1613 (Francucci 1613; Della Pergola 1959, p. 217, n. 61); Inv. 1693, St. IV, n. 28; Inv. 1790, St. II, n. 2; Inventario Fidecommissario 1833, p. 17; Acquisto dello Stato, 1902.

Mostre
  • 1914 Roma, Galleria Nazionale di Arte Antica;
  • 1922 Firenze, Palazzo Pitti;
  • 1930 Londra, Burlington House;
  • 1951 Milano, Palazzo Reale;
  • 1954 San Paolo del Brasile, Musée d'art;
  • 1985 New York, The Metropolitan Museum of Art;
  • 1985 Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte;
  • 1986-1987 Roma, Palazzo Barberini;
  • 1992 Roma, Palazzo Ruspoli;
  • 1996 Atlanta, High Museum of Art;
  • 1997 Salonicco, Palazzo Reale;
  • 1998-1999 Milano, Palazzo Reale;
  • 1999 Madrid, Museo Nacional del Prado;
  • 1999-2000 Bilbao, Museo de Bellas Artes;
  • 2002-2003 Roma, Galleria Borghese;
  • 2004-2005 Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte;
  • 2005 Londra, National Gallery;
  • 2006 Pechino, World Art Museum;
  • 2006 Budapest, Szépmuvésti Muzeum;
  • 2010 Roma, Scuderie del Quirinale;
  • 2017-2018 Los Angeles, The J. Paul Getty Museum;
  • 2018-2019 Milano, Palazzo Reale.
Conservazione e Diagnostica
  • 1915 Francesco Cochetti;
  • 1936 Carlo Matteucci;
  • 1951 Mauro Pelliccioli;
  • 1963 Alvaro Esposti;
  • 1969 Oddo Verdinelli;
  • 1972 Oddo Verdinelli;
  • 1988 Editech (indagini diagnostiche);
  • 1996 Paola Tollo, Editech (indagini diagnostiche).

Scheda

Da sempre al centro di un intenso dibattito critico per la cronologia e le diverse sfumature del suo significato, questo dipinto esprime innegabilmente il dramma umano vissuto dall'artista lombardo che, fuggito da Roma nel 1606 con l'accusa di omicidio, trovò riparo, prima a Paliano e successivamente a Napoli, all'ombra della nobile e potente famiglia Colonna.

La scelta del soggetto, la vittoria di David sul gigante Golia, si deve con tutta probabilità allo stesso pittore. L'eroe d'Israele, infatti, non manifesta un atteggiamento di trionfo ma, triste e commosso, osserva malinconico il capo mozzato dell'orribile filisteo, nel cui viso Caravaggio riprodusse il proprio autoritratto. Raffigurato contro uno sfondo scuro, il giovane pastore, simbolo di virtù vittoriosa e di coraggio, impugna una spada sulla cui lama si legge "H.AS O S", sigla sciolta da Maurizio Marini (1987), seguito da Sergio Rossi (1989) e da Maurizio Calvesi (1990), con il motto agostiniano 'H[umilit]AS O[ccidit] S[uperbiam]', lettura che contrasta con l'ipotesi suggerita da Wagner (1958), che interpretò le lettere come la firma dell'artista (sciogliendo 'M. A. C. O.' come M[ichaeli] A[ngeli] C[aravaggio] O[pus]); e con quella avanzata da MacRae (1964), secondo cui la scritta non era altro che la marca dell'armaiolo riprodotta fedelmente dal Merisi. Quale che sia la strada più percorribile, è certo che la tela giunse a Roma entro il 1613, anno in cui è documentata nella collezione del cardinal nipote Scipione Borghese (Della Pergola 1959) che emise un pagamento in favore dell'ebanista Annibale Durante per la realizzazione di alcune cornici, una delle quali destinata a decorare il "quadro di David con la testa del Gigante", le cui misure "alt[ezza] p[almi] 5 e 4" corrispondono grossomodo a quelle della tela caravaggesca. Sempre nel 1613, inoltre, l'opera fu vista da Scipione Francucci presso il casino di Porta Pinciana (Francucci 1613), dove qualche anno dopo - precisamente nel 1650 - fu descritta nella sua guida da Iacomo Manilli, il quale segnalò per la prima volta ai lettori che nel volto del gigante, Caravaggio "volle ritrarre se stesso e nel David [...] il suo Caravaggino", quest'ultimo variamente identificato con i pittori Tommaso Donini, Mao Salini e Cecco del Caravaggio (cfr. a tal proposito Della Pergola 1959; Marini 1987; Papi 1992; Coliva 2004; Papi 2010). La paternità dell'opera, riferita già dal Manilli al Merisi, fu ribadita in tutti gli inventari della collezione (Inv. 1693; Inv. 1790) giungendo, attraverso le guide settecentesche e gli elenchi fedecommissari (1833), fino a Giovanni Piancastelli (1891) e da qui al Catalogo di Adolfo Venturi (1893) e a tutta la critica successiva.

Tenendo conto delle parole di Giovan Pietro Bellori (1672), secondo cui la tela sarebbe stata commissionata a Caravaggio direttamente da Scipione Borghese, molti studiosi hanno collocato la sua esecuzione tra il 1605-06 (Pevsner 1927-1928; L. Venturi 1921; Della Pergola 1959; Jullian 1961; Ottino della Chiesa 1967; Christiansen 1990), ipotizzandone la realizzazione negli ultimi mesi del soggiorno romano (cfr. Mahon 1952), subito dopo la Madonna dei Palafrenieri (Galleria Borghese, inv. 110) e poco prima del San Giovanni Battista Borghese (Galleria Borghese, inv. 267). Tale cronologia, condivisa inizialmente da Roberto Longhi (1951; Id. 1952), fu da questi prima posticipata agli ultimi tempi del periodo romano (Id. 1957) e successivamente all'inizio del secondo periodo napoletano - ossia tra settembre e ottobre 1609 (Id. 1959; 1968) - riscontrando una certa analogia compositiva e stilistica con la Salomè della National Gallery di Londra. Tale idea fu accettata da buona parte della critica (Marini 1971; Hibbard 1983; Pacelli 1994), ad eccezione di Raffaello Causa (1966), che preferì parlare di periodo napoletano-siciliano; di Alfred Moir, incerto inizialmente tra il 1607 e il 1609-10 (1976; Id. 1982); e di Vincenzo Pacelli (1977; Id. 1978), che collocò dapprima il quadro ai tempi del primo soggiorno napoletano, e successivamente (Id. 1994) al secondo periodo partenopeo.

Il primo a supporre che il quadro Borghese fosse stato dipinto da Caravaggio quale pegno per ottenere la grazia dal pontefice per l'uccisione di Ranuccio Tomassoni fu Maurizio Calvesi (1985) il quale, ipotizzandone l'esecuzione sul finire del 1609, parlò di un dono, fatto recapitare a Paolo V per il tramite di suo nipote Scipione Borghese, raffigurante la decapitazione del pittore. Pertanto, il soggetto rappresentato rifletterebbe la psiche dell'artista, qui autoritrattosi due volte (nei panni della vittima e in quelli del carnefice; cfr. Rossi 1989), in conflitto tra super io - la morale che punisce, ossia David - e l'io - il peccatore che chiede di essere punito, alias Golia (Röttgen 1974). Tale interpretazione, in netto contrasto con molti altri pareri (per una discussione completa si veda Cinotti 1983), tra cui quello omoerotico proposto da Christoph Luitpold Frommel (1971), è ad oggi la più frequentata, assieme all'idea di riconoscere nella figura di David lo stesso modello usato per il San Giovanni Battista Borghese (Cinotti 1983; Papi 1992), persona sicuramente molto vicina al pittore identificata da Marini (1987) con un giovane ragazzo di origini lombarde, proveniente dalla cittadina di Caravaggio e incontrato dal Merisi tra i vicoletti napoletani. Il suo gesto, il braccio levato, simile a quello dell'Apoxiòmenos - nonché a quello del boia nella Salomè di Londra - è stato letto dallo studioso (Marini 1974; Id. 1987) come un'azione antieroica, carica di vibrazioni psicoemotive, il quale ha inoltre precisato il momento qui riprodotto, individuandolo nel versetto 57 del libro biblico di Samuele (Sam I, 57: "Così, mentre David tornava dall'aver abbattuto il Filisteo, Abner lo prese e lo condusse alla presenza di Saul con la testa del Filisteo in mano"), quando David all'ingresso della tenda di Saul, qui riconoscibile in alto a sinistra, mostra il suo macabro trofeo. Nel 1983, infine, Howard Hibbard, riproponendo una lettura già avanzata da Calvesi (1971), mise in rapporto la figura di David con quella di Cristo, paradigma tradizionalmente istituito dalla Bibbia, di chiara matrice agostiniana, ambiente a cui rimanderebbe anche la sigla dipinta sulla fredda lama.

Quale che sia il significato - o i diversi significati - di un'opera così complessa, sembra ormai indubbio, secondo gran parte della critica (si veda da ultimo Terzaghi 2019) che la tela fu eseguita dal pittore durante il suo secondo soggiorno napoletano, come confermerebbero, tra le altre cose, la stesura del colore, il trattamento della luce e la riduzione della gamma cromatica, caratteristiche affini ad altre opere di questo periodo, in particolare al Martirio di sant'Orsola di palazzo Zevallos a Napoli (cfr. Coliva 2010). Tuttavia, a tal proposito, credo si debba mantenere ancora aperta la questione della datazione, specialmente se si tiene conto sia dello stato di conservazione della tela, la cui pellicola pittorica, magra e abrasa a causa di diversi restauri, ha persuaso molti a scalare la sua esecuzione in anni più tardi; sia dei risultati delle indagini diagnostiche (Cardinali 2016; De Ruggieri 2016) che rivelando la presenza di alcune incisioni e al contempo una simile preparazione affine a quelle delle opere eseguite dal Merisi nel 1606-07, spingerebbero a spostare il David tra la fine del periodo romano e i primi mesi del soggiorno napoletano, strada ampiamente già percorsa anche da Keith Christiansen (1990), Gianni Papi (1991; Id. 1992; 1996; 1997; 2001; 2005), Francesca Cappelletti (2009) e Sybille Ebert-Schifferer (2009). Di fatto, anticipare l'esecuzione dell'opera al 1606-07, non solo non escluderebbe la pista avallata dalla critica circa l'allusione alla grazia, avanzata da Caravaggio e sottesa nella testa mozzata del gigante - essendo stata la pena capitale emessa nel 1606 e quindi già nota al pittore - ma spiegherebbe anche quella costruzione plastica dei volumi, compatti e non sfibrati, più vicina alle tarde opere romane piuttosto che ai dipinti degli ultimi anni, caratterizzati da un'esecuzione rapida e sintetica.

Ciò che al momento pare sia indubbio è che la tela si trovasse a Napoli nel 1610, come sembrerebbero confermare i documenti della commissione di due copie di un David di Caravaggio (Pacelli 2002), richieste nel capoluogo campano dal viceré e conte di Lemos, Pedro Fernández de Castro, al pittore Baldassarre Alvise, personalità identificata con l'artista bolognese Baldassarre Aloise detto il Galanino (Coliva 2004; Terzaghi 2010). Questi, durante la sua permanenza a Napoli, dove evidentemente si trovava l'originale, avrebbe dipinto un David duplicando verosimilmente la tela Borghese (l'identificazione del prototipo riprodotto dall'Alvise con l'opera Borghese è condivisa dalla maggior parte della critica e da ultimo da Vodret 2021). Per quanto concerne, infine, il suo arrivo nell'Urbe, gli studiosi non hanno escluso la possibilità che il dipinto facesse parte del bagaglio imbarcato da Caravaggio sulla feluca, partita da Napoli nel luglio 1610 e diretta a Roma. Come si apprende dalle missive del vescovo di Caserta, Diodato Gentile, sembra infatti che in tale occasione, i quadri stipati sulla barca dal pittore fossero diversi, scomparsi - come è noto - durante la traversata tra Napoli e Palo Laziale, dove il lombardo fu costretto a fermarsi per motivi non ancora del tutto chiariti, terminando miseramente la sua breve esistenza su una torrida spiaggia di Porto Ercole in un caldo giorno d'estate.

Al momento si conoscono ben sette esemplari della tela, di cui cinque in collezione privata (cfr. Marini 1974; Moir 1976; Pacelli 1977) e due conservate rispettivamente presso il Museu Historico di Bahia in Brasile (cfr. Marini 1974) e nella Gemäldegalerie di Kassel (cfr. Moir 1976).

Antonio Iommelli




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La conversazione #1
Bibliografia
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