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Erma di Bacco

Valadier Luigi

(Roma 1726 - 1785)

Commissionata nel 1773 da Marcantonio Borghese per il Palazzo di famiglia in Campo Marzio, l’Erma di Bacco fu ritenuta per molto tempo antica finché successivi studi dimostrarono l’identità del suo esecutore. La documentazione rinvenuta attesta che il fusto di alabastro a rose, panneggiato nella parte superiore, è frutto della rilavorazione di un pezzo antico a opera dello scalpellino Benedetto Maciucchi e che Luigi Valadier, autore della bella testa bronzea, stese sulla capigliatura una patina verde con schizzi d’oro per rendere l’effetto dell’antico, le cui tracce sono tuttora visibili.
Dalla lettura dell’inventario dei beni dell’artista, redatto dopo la sua morte, si deduce che il busto del Bacco faceva parte di una serie di bronzi prodotti regolarmente dalla sua bottega e da questa combinati con marmi diversi per proporli alla propria ricca e raffinata clientela, composta da reali, diplomatici, collezionisti, antiquari e grand tourists.
 
 
 
Sonja Felici

Scheda tecnica

Inventario
CXXXXV
Posizione
Datazione
1773
Tipologia
Periodo
Materia / Tecnica
bronzo, alabastro a rose, verde africano, bianco e nero di Aquitania
Misure
h cm.175
Provenienza
Marcantonio IV Borghese, 1773 (Archivio Segreto Vaticano, Archivio Borghese, f. 5294, n. 3169, in González-Palacios, 1993, pp. 34-51); Inventario Fidecommissario Borghese, 1833, C, p. 50, n. 121; Acquisto dello Stato, 1902.
Mostre
  • 1997                Roma, Villa Medici
  • 2018-2019     New York, Frick Collection
  • 2019-2020    Roma, Galleria Borghese
Conservazione e Diagnostica
  • 2018 diagnostica: Artelab; ENEA; restauro: C.B.C. coop a r.l.

Scheda

La testa di Bacco, in bronzo, ha la capigliatura morbidamente raccolta alla nuca, con due ciocche libere che scendono ai lati del volto, ed è coronata da un serto di edera e grappoli d’uva, piante tradizionalmente legate al culto del dio. Dioniso (Bacco è il nome latino), infatti, aveva trasformato nella prima il giovane atleta Cisso, feritosi mortalmente cadendo mentre danzava di fronte al suo tempio, e nella seconda Ampelo, il suo giovane amante, ucciso da un toro. Dalla documentazione conservatasi sappiamo che Luigi Valadier stese sul bronzo una patina verdina e sulla corona accenni di doratura, per renderla somigliante all’antico: un effetto voluto dall’artista, perfettamente riuscito e tuttora apprezzabile. L’Erma deriva da una tipologia scultorea menzionata già verso il 520 a.C. in Grecia, dove raffigurava, in origine esclusivamente, il dio Ermes, protettore dei viandanti, ed era collocata lungo le strade e ai crocicchi. L’accostamento fra il bronzo e le pietre colorate è invece tipico della ripresa dell’antico del tardo Settecento romano. Il fusto di alabastro a rose, panneggiato nella parte superiore, è frutto della rilavorazione di un pezzo antico a opera dello scalpellino Benedetto Maciucchi (González-Palacios 2000, pp. 126-127) e si innesta in basso su una base bronzea – con un raffinatissimo ornato costituito da modanature a gola, festone di alloro e dado liscio –  e su un blocco squadrato in nero d’Aquitania, fornito dal restauratore Ferdinando Lisandroni insieme a una parte dell’alabastro, necessaria per completare il fusto (González-Palacios 1993, I, p. 37). La base bronzea è cava e riveste sui tre lati visibili una base in marmo bianco, appositamente sagomata per consentire alla parte in bronzo di scorrere e aderire perfettamente su di essa (Minozzi, in Valadier, 2019, cat. 2, p. 188). Commissionata nel 1773 da Marcantonio Borghese per il Palazzo di famiglia in Campo Marzio, l’Erma vi rimase esposta fino al 1832 nella stessa stanza che ospitava l’Ermafrodito antico restaurato da Andrea Bergondi. Del suo autore si perse ben presto memoria, come testimoniato da uno scritto di Antonio Canova, che, nel 1779, dopo essere andato in visita nel Palazzo Borghese per ammirare l’Ermafrodito, annota la presenza dell’Erma, “quanto di più moderno fosse allora dato di vedere in Roma”, attribuendola però ad un autore francese, André-Jean Lebrun (Canova 2007, p. 65). In seguito, l'opera è stata ritenuta antica dal Nibby (1832, p. 95), che per primo la ricorda nel 1832. Platner (1842, p. 248) e Venturi (1893, p. 34) la ritenevano imitazione moderna di un’opera antica, De Rinaldis (1948, p. 25) ne collocava l’esecuzione poco oltre la fine del Cinquecento, Della Pergola (1951, p. 15) parlava invece del XVII secolo. Faldi (1954, p. 18) la riferiva al XVIII secolo, per l’elegante e morbida stilizzazione del motivo antico resa nello spirito del primo Neoclassicismo romano. Il rinvenimento di una nota di pagamento ha consentito, sullo scorcio del secolo scorso, la certa identificazione dell’autore in Luigi Valadier, che ricevette 40 scudi il per il modello e l’esecuzione della testa e 20 per la base (González-Palacios 1993, I, pp. 34-51 e, in L’oro di Valadier, 1997, cat. 25, pp. 125-126). Dalla lettura dell’inventario dei beni di Luigi Valadier, redatto dopo la sua morte, si deduce che il busto del Bacco faceva parte di una serie di bronzi prodotti regolarmente dalla sua bottega e da questa combinati con marmi diversi per proporli alla ricca e raffinata clientela (Teolato, in Valadier, 2019, p. 51). Un secondo esemplare di Erma, passato per il mercato antiquario, oggi è conservato in una collezione privata (Teolato 2018, p. 209, n. 26).


Bibliografia
  • A. Nibby, Monumenti scelti della Villa Borghese, Roma 1832, p. 95.
  • A. Nibby, Roma nell’anno MDCCCXXXVIII. Parte seconda moderna, Roma 1841, p. 919.
  • Beschreibung der Stadt Rom, a cura di E. Z. Platner, III, 3, Stuttgart-Tübingen 1842, p. 248.
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 34.
  • A. De Rinaldis, La R. Galleria Borghese in Roma, Roma 1935, p. 13.
  • A. De Rinaldis, Catalogo della Galleria Borghese in Roma, Roma 1948, p. 25.
  • P. Della Pergola, La galleria Borghese in Roma, Roma 1951, p. 15.
  • I. Faldi, Galleria Borghese. Le sculture dal sec. XVI al XIX, Roma 1954, p. 18, cat. 13, fig. 13.
  • La protomoteca Capitolina, a cura di V. Martinelli, C. Pietrangeli, Roma 1955, p. 39, fig. 31.
  • P. Della Pergola, La Galleria Borghese in Roma, Roma 1974, p. 15.
  • Le collezioni della Galleria Borghese, a cura di S. Staccioli, P. Moreno, Milano 1981, p. 103.
  • A. González-Palacios, Valadier a Palazzo Borghese, in “Antologia di Belle Arti”, XLIII-XLVII, 1993, pp. 34-51.
  • Galleria Borghese, a cura di Anna Coliva, Roma 1994, pp. 310-311; 338-339, fig. 163; 186.
  • Alvar González-Palacios, scheda in L’oro di Valadier un genio nella Roma del Settecento, catalogo della mostra (Roma, Villa Medici, 1997), a cura di A. González-Palacios, Roma 1997, pp. 125-126, cat. 25, fig. XI.
  • Guida alla Galleria Borghese, a cura di K. Herrmann Fiore, Roma 1997, p. 29.
  • A. González-Palacios, Addenda a Luigi Valadier, in “Gazette des Beaux-Arts”, CXXV, 2000, pp. 117-128.
  • P. Moreno, C. Stefani, Galleria Borghese, Milano 2000, p. 66, fig. 3.
  • A. Canova, Scritti, I, a cura di H. Honour, P. Mariuz, Roma 2007, p. 65.
  • L. Valadier: splendor in eighteenth-century Rome, catalogo della mostra (New York, Frick Collection, 2018-2019), a cura di A. González-Palacios, New York 2018, pp. 414-417.
  • C. Teolato, L’"impresa" di Luigi Valdier: produzione di piccole e grandi sculture in bronzo nell’Inventario del 1785 e nel Catalogo della Lotteria del 1792, in “Studi di storia dell’arte”, 29 (2018), pp. 190-191.
  • A. González-Palacios, I Valadier. Andrea, Luigi, Giuseppe, Milano 2019, pp. 162-164.
  • M. Minozzi, scheda in Valadier. Splendore nella Roma del Settecento, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 2019-2020), a cura di A. Coliva, G. Leardi, Milano 2019, pp. 188-189, cat. 2.
  • C. Teolato, La bottega di Luigi Valadier: le fusioni in bronzo, in Valadier. Splendore nella Roma del Settecento, catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 2019-2020), a cura di A. Coliva, G. Leardi, Milano 2019, pp. 46-59.
  • Scheda di catalogo 12/01008654, Pellizzari S., 1983; aggiornamento Felici S., 2020.