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Gruppo di Venere, Marte e Cupido

Arte romana


Il gruppo di Venere, Marte e Cupido è una composizione eclettica di età romana del periodo degli Antonini, nata dalla giustapposizione di due tipi di tradizione greca. Venere – dea dell’amore e della fecondità – ripete lo schema dell'Afrodite di Capua (al Museo di Napoli), Marte – che riprende per solito lo schema dell'Ares Borghese (ora al Louvre) – in questo caso è un tipo virile di derivazione policletea, rielaborazione del celebre Doriforo. La presenza di Eros, poi, allude alle intenzioni pacifiche del dio della guerra, simboleggiando l’amore e l’augurio di prosperità.
Il gruppo proviene dalla collezione di Giovanni Battista Della Porta, rinvenuto probabilmente nella Vigna di Monsignor Santarello presso la Basilica di S. Maria Maggiore, a Roma. La scultura è citata per la prima volta nella Villa da Iacomo Manilli e da Domenico Montelatici, nel 1650 e nel 1700, che la descrivono al primo piano, nella Camera di Diogene (attuale Sala XV). 

Scheda tecnica

Inventario
CCL
Posizione
Datazione
Prima metà II sec. d.C.
Tipologia
Materia / Tecnica
marmo di Luni
Misure
cm. 83 x 50
Provenienza
Rinvenuto nella Vigna di Monsignor Santarelli presso la Basilica di S. Maria Maggiore a Roma; entrato nella collezione di Giovanni Battista Della Porta. Acquisto di Giovan Battista Borghese, 1609; Inventario Fidecommissario Borghese, 1833, p. C, n. 137; Acquisto dello Stato, 1902. 
Conservazione e Diagnostica
  • seconda metà XVI secolo Giovan Battista Della Porta: testa, braccia e spada di Marte
  • 1828 Antonio D’Este
  • Post disegno del gruppo di Felix Ravaisson (1893): testa di Marte: naso, labbro inferiore, guancia sinistra, mento e parte dell'elmo; Venere: testa, braccio destro e sinistro (tranne la mano con il polso); Cupido: parte sinistra della testa
  • 1966 Tito Minguzzi
  • 1981-1982 Sabato Silvestro 
  • 1996-1997 Eliana Persichelli

Scheda

Rinvenuto secondo alcune fonti antiche (Martinelli 1644, p. 136) nella Vigna di Monsignor Santarelli presso la Basilica di S. Maria Maggiore, a Roma, il gruppo entrò nella collezione di Giovanni Battista Della Porta, dove subì diversi interventi restaurativi volti ad agevolarne l’immissione sul mercato antiquario. Sfumate le trattative d’acquisto con Vespasiano Gonzaga, nel 1609 fu venduto a Giovan Battista Borghese.    Il gruppo è citato per la prima volta da Iacomo Manilli nel 1650 e da Domenico Montelatici nel 1700, che lo descrivono nella Villa Pinciana al primo piano, nella Camera di Diogene (attuale Sala XV), dove rimase esposto su un piedistallo ligneo colorato almeno fino al 1765; manca nella guida di Luigi Lamberti ed Ennio Quirino Visconti (1796) e non viene inserito fra le opere vendute ai francesi (1807). All'epoca della ricostituzione della raccolta nella palazzina, tra il 1819 e il 1832, il gruppo venne esposto nella sala VI del Casino su una tavola di granito rosso (1840), è menzionato dal Venturi al primo piano nella sala XIV (1893), per poi essere spostato subito dopo la vendita della collezione allo stato (1902) nel vestibolo di ingresso, sull’ara sepolcrale dedicata a Stazio. Esposto poi al piano terra nel Salone di Mariano Rossi, è attualmente nella stanza di Apollo e Dafne.   Il gruppo rappresenta Venere che con l’arte della seduzione placa la bellicosità di Marte, vinto dall’amore per la dea, alla presenza di Cupido. L’episodio è narrato dagli autori latini, che indicano in Venere l’unica divinità in grado di frenare le azioni violente di Marte, il guerriero tremendo, che sotto l’effetto della dea diventa docile amante, al punto da spogliarsi – in alcune raffigurazioni – non solo degli abiti, ma anche delle armi che ne contraddistinguono la tradizionale iconografia (Lucrezio, De rerum natura, 31-36; Ovidio, Ars amatoria, II, vv. 563-566). Questa è una delle numerose repliche del gruppo, utilizzata frequentemente anche per ritrarre coppie di sposi, secondo una formula eclettica in voga al tempo di Adriano e Antonino in cui le teste-ritratto vengono sovrapposte ai corpi nudi idealizzati della coppia divina. In questo piccolo gruppo la dea è nuda nella parte superiore del corpo e indossa il mantello che la riveste dalla vita in giù: rappresentata di tre quarti di lato, solleva le braccia in direzione del compagno, che cinge con il sinistro, mentre il destro è proteso verso il petto dell’amato. La gamba destra è tesa e portante, la sinistra invece è leggermene alzata e poggia su un suppedaneo. La testa, cinta da una fascia, è volta a sinistra, sollevata verso il compagno: il volto è paffuto e tondeggiante, la bocca piccola, carnosa e dischiusa, l’acconciatura è semplice ed eseguita in maniera approssimativa, con morbide ciocche raccolte sulla nuca in una piccola crocchia. Il dio della guerra, che qui si presenta in “nudità eroica”, è raffigurato con elmo con cimiero, folta capigliatura e un balteo sospeso alla spalla destra, mentre nella sinistra regge uno scudo e impugna il gladio con la destra. La testa, rivolta a destra e lievemente sollevata, ha un volto tondo, incorniciato da morbide ciocche che fuoriescono dalla visiera del copricapo. La figura è frontale, con la gamba sinistra flessa e il capo volto verso destra. Sulla sinistra un piccolo Eros, in piedi, regge una fiaccola e ha il capo volto verso la coppia. Il gruppo, noto anche come «Concordia-Gruppe», è il risultato dell’accostamento di due modelli scultorei originariamente indipendenti: la figura femminile ricorda le Afroditi seminude del IV secolo a.C. e del periodo ellenistico. La posa generale della dea richiama quella della Venere di Capua (MANN inv. 6017), secondo uno schema derivante dall’Afrodite del celebre santuario dell’Acrocorinto e più tardi rielaborato nel tipo romano della Vittoria di Brescia, risalente all’epoca Flavia (Delivorrias et alii 1984, pp. 71-72, nn. 627-632). Il dettaglio del panneggio che le sfiora delicatamente i fianchi è paragonabile a quello della Venere di Milo (Parigi, Museo del Louvre, inv. MA399). Marte, invece, è un tipo virile di derivazione policletea, rielaborazione del celebre Doriforo, secondo un modello attestato anche nel gruppo analogo conservato agli Uffizi (Mansuelli 1958, pp. 177-178, n. 160). Si tratta di una versione alternativa a quella più frequentemente attestata, in cui la Venere tipo Capua è piuttosto associata all’Ares tipo Borghese, come nel gruppo un tempo pertinente alla collezione di Camillo Borghese, ora al Louvre (inv. MA 1009; De Kersauson 1986-96, n. 59, pp. 144-147) e in quelli a Roma nei Musei Capitolini (inv. S 652; Avagliano 2010) e al Museo Nazionale Romano (inv. 108522; Calza 1977, pp. 19-20, n. 16, tavv. XI-XII.). La creazione del gruppo originario – forse nell’ambiente della scuola di Pasiteles, greco allora attivo a Roma – risale all’età augustea, quando venne concepito per rappresentare l’unione fra Venere, progenitrice della gens Iulia, e Marte, padre di Romolo, nel gruppo cultuale posto all’interno del tempio di Marte Ultore, nel Foro di Augusto, di cui parla Ovidio (Ovidio, Tristezze, II, vv. 295-296) e si conserva un frammento (Roma, Mercati di Traiano, inv. FA 2563a; Zanker 1968, p. 19). La presenza di Eros, poi, allude alle intenzioni pacifiche del dio della guerra, simboleggiando l’amore e l’augurio di prosperità, secondo una struttura ideologica ripetuta in diversi monumenti dell’epoca augustea, come la base di Sorrento (Sorrento, Museo Correale di Terranova), o il rilievo di Algeri (Algeri, Museo Nazionale, inv. 217). Il soggetto ottenne ampia diffusione nel II sec. d.C., quando venne modificato con finalità ritrattistiche in riproduzioni a tutto tondo e utilizzato sovente nella decorazione di rilievi e sarcofagi romani. La coppia divina venne assunta così a simbolo dell’immortalità del vincolo amoroso, apportatore di serenità e di pace, alludendo al ruolo di protettori e progenitori dei Romani, in conformità con la narrazione, tramandata da Esiodo, del legittimo amore fra le due divinità (Esiodo, Teogonia, vv. 933-937). In tale accezione allegorica, il gruppo si prestò anche a un utilizzo propagandistico, scelto per effigiare le coppie imperiali di Adriano e Sabina e (forse) Marco Aurelio e Faustina Minore, in cui l’imperatore si presentava come il garante della pace e della prosperità dell'impero.  È a questo stesso orizzonte cronologico, in particolare all’età antonina, che si può ricondurre il gruppo Borghese.       Jessica Clementi


Bibliografia
  • F. Martinelli, Roma ricercata nel suo sito, e nella scuola di tutti gli Antiquarii, Roma 1644, p. 136.
  • I. Manilli, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana, Roma 1650, p. 97.
  • D. Montelatici, Villa Borghese fuori di Porta Pinciana con l’ornamenti che si osservano nel di lei Palazzo, Roma 1700, p. 274.
  • A. Nibby, Monumenti scelti della Villa Borghese, Roma 1832, p.110, tav.44b.
  • Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese, Roma 1840, p.21, n.3.
  • A. Nibby, Roma nell’anno 1838, Roma 1841, p. 922, n.3.
  • Indicazione delle opere antiche di scultura esistenti nel primo piano della Villa Borghese, Roma 1854 (1873), p.25, n.9.
  • G. Campori, Lettere artistiche inedite, Modena 1866, p. 64, n. LXXIII.
  • F. Ravaisson, Venus de Milo, in "Mémoires de l’Académie des Inscriptions et Belles-Lettres", 1892, p.210, tav.7.
  • H. Graeven, La Raccolta di antichità di Giovanni Battista Della Porta, in “Mitteilungen des Kaiserlich Deutschen Archäologischen Instituts, Römische Abteilung” VIII, 1893, p.236.
  • A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p.50.
  • G. Giusti, La Galerie Borghèse et la Ville Humbert Premier à Rome, Roma 1904, p.34.
  • W. Amelung, P. Arndt, G. Lippold, Photographische Einzelaufnahmen antiker Skulpturen, X, 1, München 1925, p.19, n.2782.
  • G. A. Mansuelli, Galleria degli Uffizi. Le sculture, Roma 1958, pp. 177-178, n. 160.
  • P. Zanker, Forum Augustum. Das Bildprogramm, Tuebingen 1968, p. 19.
  • M. Bieber, Ancient Copies, Contribution to the History of Greek and Roman Art, New York 1977, pp. 43-44, fig.106.
  • R. Calza, Scavi di Ostia. I Ritratti, II, Ritratti romani dal 160 circa alla metà del III secolo d.C., IX, Roma 1977, pp. 19-20, n. 16, tavv. XI-XII.
  • P. Moreno, Museo e Galleria Borghese, La collezione archeologica, Roma 1980, p.22.
  • L. De Lachenal, La collezione di sculture antiche della famiglia Borghese e il palazzo in Campo Marzio, in “Xenia”, 1982, p.66, 91 (Appendice Va 379), 94 (Appendice Vb 342), 95 (Appendice Vc 86).
  • A. Delivorrias et alii, s.v. Aphrodite, in “Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae”, II,1 Zürich München 1984, pp. 71-72, nn. 627-632.
  • N. Blanc, F. Gury, s.v. Amor, Cupido, in “Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae”, III.1, Zürich München 1986, p.1027, n.611.
  • K. De Kersauson, Catalogue 1986-1996, n. 59, pp. 144-147.
  • P. Moreno, C. Sforzini, I ministri del principe Camillo: cronaca della collezione Borghese di antichità dal 1807 al 1832, in “Scienze dell’Antichità”, 1, 1987, pp. 339-371, in part. pp.342, 360.
  • K. Kalveram, Die Antikensammlung des Kardinals Scipione Borghese, Worms am Rhein 1995, p. 228, n.131.
  • P. Moreno, C. Stefani, Galleria Borghese, Milano 2000, p. 45, n.3a.
  • J. Raspi Serra, Il primo incontro di Winckelmann con le collezioni romane. Ville e palazzi di Roma, 1756, Roma 2002, pp. 420-421, n. 100.
  • A. H. Borbein, M. Kunze, Johan Joachim Winckelmann, Ville e Palazzi di Roma. Antiken in den roemischen Sammlungen, Mainz 2003, p. 186.
  • P. Moreno, A. Viacava, I marmi antichi della Galleria Borghese. La collezione archeologica di Camillo e Francesco Borghese, Roma 2003, p.198, n. 180.
  • A. Avagliano, Il gruppo scultoreo di coniugi come Marte e Venere, in Ritratti. Le tante facce del potere, a cura di E. La Rocca, C. Parisi Presicce, con A. Lo Monaco, Roma, 2010, pp. 352-353, n. 5.18.
  • I Borghese e l’Antico, Catalogo della mostra (Roma, Galleria Borghese, 7 dicembre 2011 – 9 aprile 2012) a cura di A. Coliva, Milano 2011, pp. 398-399, n. 71.
  • Scheda di catalogo 12/01008558, P. Moreno 1975; aggiornamento G. Ciccarello 2021