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La pittura di paesaggio a Roma

Guido Reni


Veduta dell’allestimento della mostra Guido Reni a Roma. Il Sacro e la Natura.

1601-1614. Da solo in una grande città, ma con gli occhi spalancati. Così ci appare Guido nei suoi anni romani: non stringe legami profondi con gli altri artisti, pur guardando interessato alle novità di un contesto così ricco di idee e nuovi linguaggi. Sono gli anni dell’intenso dibattito sul “naturale”, sulla possibilità di disegnare e dipingere dal vero e uno degli ambiti in cui gli artisti si mettono alla prova nell’affrontare il mondo circostante e il concetto di imitazione, già alla base della teoria artistica dell’Umanesimo, è senz’altro la pittura di paesaggio,  considerata una specializzazione dei nordici, ma che a Roma, all’inizio del Seicento,diventa terreno di sperimentazione comune. Annibale Carracci,  Francesco Albani, Domenichino, e in particolare due collaboratori di Annibale,  Pietro Paolo Bonzi e Giovan Battista Viola, tutti danno il loro intenso contributo al successo della pittura di paesaggio, al servizio dei due grandi promotori e committenti di questo genere, i cardinali Pietro Aldobrandini e Odoardo Farnese. Guido frequenta, inoltre, il fiammingo Paul Bril, romano per oltre quarant’anni, figura di grandissimo rilievo nella esplorazione del soggetto campestre e inventore di altri “sottogeneri” del paesaggio, come la veduta costiera, di cui si conserva alla Galleria Borghese un esempio particolarmente riuscito, la Veduta di porto, nell’ingresso alla Pinacoteca.

Queste le premesse per comprendere il crogiolo articolato e stimolante nel quale Guido muove i suoi passi dentro la pittura di “paesi”, e che nella grande Loggia del Lanfranco la mostra intende evocare tessendo le molte potenziali prospettive da cui provare a conoscerla. È quindi possibile avviarsi dai necessari antefatti emiliani con Niccolò dell’Abate e percorrere la strada carraccesca che avanza fino agli sbocchi ancora equilibrati e naturalistici di Giovan Francesco Grimaldi, dei tardi anni Settanta, oppure si può osservare come Paul Bril e la sua bottega abbiano assicurato l’incontro fra il paesaggio universale del Nord, vero catalogo di cose naturali, con i paesi «a botte e in confuso» della tradizione italiana. Il visitatore potrà poi fare esperienza delle avanzate e letterarie sperimentazioni bolognesi con i quattro tondi di Albani, eseguiti su incarico dello stesso Scipione Borghese, o con un paesaggio maturo di Domenichino, il Paesaggio con Silvia e satiro,  che attesta il protrarsi dell’attrazione per questo genere messo a punto ormai molti decenni addietro. Inoltre, nella stupefacente Diana e le ninfe dello stesso Domenichino, nella Sala di Elena e Paride a pochi passi dalla Loggia, il paesaggio si evolve decisamente in altro, più magniloquente linguaggio, e vira verso una complessità compositiva in cui la forza della presenza umana domina stabilisce un nuovo codice per la scena mitologica ambientata nella natura e per il collegamento fra il mondo delle immagini e quello dello spettatore, richiamato all’interno del dipinto dagli sguardi e dai gesti di ninfe e pastori.




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