Lot e le figlie
Guido Reni
Nel dipinto è raffigurato un episodio biblico narrato nel libro della Genesi, che vede Lot, in fuga dalla città di Sodoma distrutta per castigo divino, ritirarsi in una grotta e qui, stordito dal vino, giacere assieme a due delle figlie per assicurare la propria discendenza. Il soggetto è trattato da Guido con fedeltà al testo sacro, privandolo del compiacimento e delle allusioni erotiche, con una certa severità nell’assenza di connotazioni ambientali e sobriamente concentrato sul fulcro narrativo, che si staglia su un fondo scuro e neutro. I protagonisti sono abbigliati con panni voluminosi dai colori pieni, alternano l’estrema accuratezza delle acconciature femminili al naturalismo misurato della capigliatura maschile, e mostrano una tornitura degli incarnati – le due donne in particolare – che rinvia alle fanciulle dipinte da Guido nel Casino dell’Aurora Pallavicini (1614), prossimità confermata dall’eloquenza gestuale e dall’abilità di costruire il dialogo tessendo giochi di sguardi.
Gli studi fanno generalmente risalire l’esecuzione di questo dipinto al rientro di Guido a Bologna dopo la permanenza romana, tra il 1615 e il 1616, tuttavia la sua prima attestazione documentaria risale al 1640, in un inventario di Palazzo Lancellotti a Roma. Se non è possibile stabilire con sicurezza la committenza diretta da parte dei Lancellotti – salvo supporre un orientamento verso la coeva pittura emiliana grazie alla presenza nella loro collezione di un altro dipinto di Reni, Susanna e i vecchioni – non si può escludere che la famiglia abbia acquistato il quadro direttamente presso l’artista. In quegli stessi anni a Roma si producevano, infatti, opere simili per soggetto e dimensioni, evidentemente diffusi nel gusto, tra le quali si annovera l’opera di Giovan Francesco Guerrieri, anch’essa Lot e le figlie, datata 1617 e in collezione Borghese.
E’ proprio il formato, oltre che una certa consistenza tenebrista, nello sfondo e nei contorni marcati dei volti, a suggerire la collocazione del dipinto nella sala di Caravaggio all’interno della Galleria Borghese. Il pittore lombardo recupera infatti dalla tradizione veneta cinquecentesca il quadro “a mezza figura”, di cui nel Seicento è considerato l’inventore. Le dimensioni “dal naturale” dei personaggi, rappresentati solo fino alla vita, si adattavano alla perfezione alle dimensioni delle tele, le più adatte a ricoprire le pareti delle collezioni aristocratiche.