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RUBENS E LA STORIA


RUBENS E LA STORIA
Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la Scultura a Roma. ph by A. Novelli © Galleria Borghese

«Non era egli semplice pratico, ma erudito», scrive di Rubens l’antiquario romano Giovanni Pietro Bellori nel 1672, una trentina d’anni dopo la morte del pittore.

Al momento nel 1600 del suo ingresso in Italia, dove si soggiornerà per otto anni, Rubens è già un artista ‘dotto’. Conosce il latino e il greco. Forse ha letto anche le Vite di Vasari. Accolto a Mantova alla corte di Vincenzo I Gonzaga, non perde occasione per recarsi appena può a Venezia, Roma e Genova. Impara un bellissimo italiano, che utilizzerà per tutta la vita nelle sue lettere. Segue insieme con il fratello Philip gli insegnanti del filosofo neostoico Giusto Lipsio, curatore dell’edizione critica delle opere di Lucio Anneo Seneca. Dopo poco più di due anni trascorsi a Roma a compulsare l’arte antica e rinascimentale, l’aggravarsi della salute della madre lo costringe a rientrare ad Anversa. In una lettera del 28 ottobre 1608, appena concluso l’imponente altare della Chiesa Nuova, il pittore si congeda dall’Italia, senza sapere che non vi avrebbe più fatto ritorno.

Mentre è a Roma, studia appassionatamente il cosiddetto Seneca morente, una scultura in marmo bigio (oggi al Louvre, già in collezione Borghese), che si riteneva mettesse in scena il suicido del filosofo descritto da Tacito. Gira attorno al pezzo e lo indaga da ogni veduta, come è abituato a fare ogni volta che si trova davanti a un’opera scultorea. Inoltre, grazie alla traduzione a stampa dei suoi disegni, lo fa diventare una vera e propria icona del Seicento, a cui attribuisce il volto di un ritratto antico oggi noto come Pseudo-Seneca. Infine, raffigura la morte del filosofo in opere pittoriche che trasformano il marmo borghesiano in carne.

Ma la storia antica non è per Rubens solo un soggetto letterario. È anche un continuo esercizio esegetico delle iconografie e degli oggetti che attestano le usanze dei romani e dei greci. Con l’erudito seicentesco Nicolas-Claude Fabri de Peiresc le indaga in ricchi scambi epistolari e di materiali grafici, che aggiornano di continuo quanto il pittore aveva potuto apprendere negli anni della formazione italiana. Episodi descritti dagli storici antichi vengono trasformati così da Rubens in pitture e arazzi, dove sono restituiti con accuratezza antiquaria armature, cimieri, scudi, calzari e insegne.

Infine, con la sua autorità morale, la storia antica permette a Rubens anche di commentare il presente. Lo scoppio nel 1618 della Guerra dei Trent’Anni, di cui l’artista non vedrà la fine, devasta l’Europa e mette a dura prova proprio i Paesi Bassi Spagnoli, dove soggiorna. Gli intensi sforzi diplomatici di Rubens alla fine degli anni venti del Seicento lasciano traccia anche nella sua produzione pittorica. Nell’Allegoria della Guerra Liechtenstein una figura femminile ‘all’antica’ in primo piano esprime l suo intenso dolore davanti a una battaglia attualissima, forse addirittura studiata dall’artista dal vero nel corso di uno dei suoi viaggi da Anversa a Madrid.




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