CORPI STATUARI
Joachim von Sandrart, un allievo tedesco di Rubens, sottolinea nel suo trattato d’arte edito alla fine del Seicento, la Teutsche Academie, la necessità per i pittori di far emergere le figure, di dare ai loro contorni rotondità e profondità alle loro ombre.
Per il maestro fiammingo, e per i molti artisti che ne hanno seguito l’esempio, lo studio della statuaria e dei rilievi antichi non è stato solo l’occasione per scoprire soggetti mitologici inediti, indagare le usanze dei romani e copiare muscolose anatomie umane. Ha rappresentato innanzitutto una via per apprendere come accordare alle forme della pittura nuovo vigore statuario, per dare letteralmente corpo ai suoi protagonisti e farli risaltare come figure viventi all’interno della composizione.
In debito con sculture antiche come il Torso del Belvedere e il Laocoonte, gli eroi rubensiani (in questa sezione il San Sebastiano guarito dagli angeli della Galleria Corsini e il Cristo risorto di Palazzo Pitti), costruiti plasticamente con un morbido chiaroscuro (come si vede nel disegno della Morgan Library), riempiono lo spazio della superficie pittorica stretti in un vigoroso close-up e da questa emergono con un’evidenza scultorea per lo spettatore vitale e coinvolgente.
Nel dialogo tra le arti Rubens non accetta confini e offre con la sua produzione pittorica un modello anche agli scultori, che lo seguono con interesse da tutta Europa. Tra questi Georg Petel, un artista tedesco amico di Sandrart e del pittore Antoon van Dyck, arrivato a Roma nei primi anni venti del Seicento dopo che aveva già forse avuto modo di conoscere il maestro fiammingo ad Anversa. Nelle sue morbide gradazioni tonali l’avorio del piccolo San Sebastiano di Petel compete con gli incarnati perlacei dei protagonisti rubensiani, dai quali ha tratto evidente ispirazione per posa e modellazione della muscolatura.