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BLOODY RUG


BLOODY RUG

Il Bloody Rug trasforma un tessuto domestico in un possibile silenzioso racconto di violenza. Il tappeto, di un rosso profondo, segnato e macchiato, assorbe la traccia del conflitto senza illustrarlo. I gesti di Mutu si traducono in macchie circolari impresse direttamente sulla superficie – atti di marcatura radicati nella fisicità più che nella rappresentazione pittorica. Questo approccio richiama le sue prime performance, in cui il corpo, il materiale e la traccia stessa diventano strumenti narrativi. La tensione tra la geometria formale del tappeto e il suo disordine interno diventa una metafora del controllo e della rottura. L’opera si afferma in uno spazio nel quale i tessuti sono oggi marginali. Installato sotto La caccia di Diana di Domenichino, affronta una tradizione iconografica che chiama in causa il genere. Nel dipinto, le donne sono osservate da uomini nascosti, un’allegoria dell’intrusione. In Bloody Rug la scena è scomparsa, l’immagine è sospesa, la violenza non è più a vista: è strutturale, incorporata, persistente, iscritta nella superficie. Come il dipinto, il tappeto trattiene tensione anziché rilasciarla, trasformando il silenzio in una presenza che preme contro la stanza. Politico e al tempo stesso intimo, Bloody Rug evoca forme più generalizzate di violenza, come le guerre, le ferite e le sparizioni, veicolate non da gesti grandiosi, ma da ciò che resiste senza far rumore.




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