BIOGRAFIA
Nasce a Napoli nel 1569. Poco è noto della sua giovinezza, ma sappiamo che si dedica presto alla poesia e che intorno al 1593 entra a far parte della corte di Matteo di Capua, principe di Conca, dove può ammirare l’imponente quadreria di Matteo, ricca di opere attribuite a Raffaello, Correggio, Tiziano.
In questi anni di fine secolo emergono anche i primi episodi di un carattere irregolare: viene per due volte incarcerato, prima nel 1598, poi nel 1600, per accuse che rimangono in parte misteriose. Nel 1600 riesce a fuggire a Roma, dove riesce presto a guadagnare la protezione della famiglia di Melchiorre Crescenzi, chierico di camera di Clemente VIII Aldobrandini. Si tratta di un passaggio decisivo, perché consente a Marino di entrare in relazione con l’ambiente letterario e con il mondo aristocratico, in particolar modo quello romano. Conosce cardinali, poeti, pittori, tra cui il Cavalier d’Arpino e Caravaggio.
Nel 1602 pubblica a Venezia le Rime, ottenendo uno straordinario successo, tanto che poco dopo riesce ad essere ammesso al servizio di Pietro Aldobrandini, cardinal nipote di Clemente VIII. Dopo la morte di Clemente VIII, però, la condizione diventa meno favorevole: Marino è costretto a spostarsi a Ravenna al seguito dell’Aldobrandini. Cerca presto un’altra sistemazione cortigiana e, nel 1608-1609, si avvicina al duca Carlo Emanuele I di Savoia e alla corte di Torino.
Giunto a Torino, il successo ottenuto fa scoppiare la rivalità con il poeta Gasparo Murtola. Lo scontro inizia con uno scambio di sonetti ingiuriosi, ma Murtola, vedendosi sconfitto, decide di eliminare Marino sparandogli per strada. L’attentato fallisce, Murtola viene arrestato e Marino rimane padrone del campo. Nello stesso tempo, però, a Roma è stato aperto un dossier a carico di Marino da parte dell’Inquisizione: l’accusa è quella di aver composto «poesie oscene ed empie».
A testimonianza di un temperamente irrequieto, nell’aprile del 1611 Marino viene di nuovo arrestato, questa volta per ordine del duca Carlo Emanuele, per motivi che restano misteriosi. Rimarrà in prigione per oltre un anno e, particolare eloquente, gli vengono sequestrati tutti i manoscritti. Dopo essere stato liberato, nel 1614 pubblica un’altra raccolta di rime, la Lira, e una lunga opera in prosa, le Dicerie sacre. Quest’ultima, dedicata al papa, doveva attenuare la minaccia dell’Inquisizione, ma l’operazione non riesce e Marino viene più volte convocato a Roma per essere interrogato dagli inquisitori.
Nel 1615, per il timore di un arresto, Marino si trasferisce a Parigi, alla corte della regina Maria de’ Medici, e anche qui guadagna rapidamente una posizione di prestigio. A Parigi vive per otto anni, pubblicando alcune opere (e in particolare nel 1619 la Galeria, una raccolta di 624 componimenti, ciascuno pensato come esercizio poetico in rapporto a opere d’arte). Verso la fine del soggiorno francese, nel 1623, si registrano due eventi decisivi: la stampa dell’Adone, il capolavoro del Marino, e l’incontro con il giovane Nicolas Poussin, che riceverà da Marino l’apprezzamento e il sostegno per arrivare a Roma.
Nel 1623 decide di tornare in Italia. Arrivato a Roma, però, si trova di fronte uno scenario sfavorevole: il nuovo papa Urbano VIII Barberini non frena il processo contro Marino che è ancora attivo presso il Sant’Uffizio. Marino è pertanto costretto prima agli arresti domiciliari, poi all’umiliazione di una pubblica abiura nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva.
Nel 1624 l’Adone viene sospeso dall’Inquisizione; Marino decide di lasciare Roma e parte per Napoli, dove progetta di organizzare una grande casa-museo, nella quale raccogliere i suoi libri e le tante opere d’arte collezionate negli anni. Verso la fine dell’anno si ammala, e muore però il 26 marzo 1625. Il racconto di un testimone riporta che, prima di morire, Marino decide di bruciare i propri manoscritti delle opere profane: «Comandò nel testamento che si ardessero tutti i suoi manuscritti, non solo delle cose satiriche e de le lascive, ma di tutte quelle che non fossero sacre».