Dipingere con la pietra
Antonio Tempesta e Filippo Napoletano furono i più abili e prolifici creatori di opere «fatte dalla natura e aiutate con il pennello». Tra i loro supporti preferiti si annovera la pietra paesina, ricavata da ciottoli della valle dell’Arno, che opportunamente tagliata può rivelare un andamento ondulato o fratturato. Nel Ruggero che libera Angelica dall’orca, di Filippo Napoletano, dove la giovane nuda è legata allo scoglio, si possono osservare entrambe le tipologie della paesina. Nella Presa di Gerusalemme di Tempesta, minimi tocchi di pennello trasformano le fratture della pietra nell’immagine di una città. L’artista sa sfruttare il colore rosso della breccia per rappresentare il Mar Rosso nel dipinto di Budapest, e le inclusioni di manganese della dendrite per raffigurare fronde e alberi nelle Cacce di Vienna. «Dipinti» creati esclusivamente da intarsi di pietre dure erano di moda presso la corte medicea, specialmente presso quella di Ferdinando I che nel 1588 creò la Galleria dei lavori (ora Opificio delle pietre dure) per produrre questi manufatti. Il bellissimo Cardinale rosso era probabilmente un dono della corte granducale al cardinale Scipione Borghese, con un evidente gioco di parole.
Le pitture su pietra potevano essere appese ai muri, insieme ad altri dipinti o in camere delle meraviglie, ma spesso erano appoggiate su tavolini, o conservate in scatole, suggerendo che venissero spesso prese in mano per essere ammirate da vicino.