La Galleria Borghese apre martedì 8 giugno una nuova mostra di Damien Hirst a cura di Anna Coliva e Mario Codognato: oltre 80 opere dalla serie Treasures from the Wreck of the Unbelievable sono esposte in tutte le sale del museo affiancando i capolavori antichi e comprendono sculture sia monumentali che di piccole dimensioni, realizzate in materiali come bronzo, marmo di Carrara e malachite. Anche i dipinti di Hirst Colour Space, in Italia per la prima volta, sono allestiti all’interno della collezione permanente, mentre la sua scultura colossale, Hydra and Kali, è nello spazio esterno del Giardino Segreto dell’Uccelliera.
Il progetto è stato reso possibile grazie al generoso supporto di Prada, che indaga gli ambiti di ricerca come l’arte, l’architettura, la filosofia, la letteratura con l’obiettivo di elaborare linguaggi e progetti innovativi, in un continuo dialogo con gli scenari più ampi della contemporaneità.
Le opere di Hirst sono presentate nella Galleria Borghese, un museo con una superba collezione di capolavori della statuaria romana classica, della pittura italiana del Rinascimento e di quella del Seicento, e le più importanti sculture di Bernini e Canova. Nello stesso tempo, e questa è la sua unicità, è un luogo che possiede una ricca e originale decorazione fatta da una varietà di materiali e colori: marmi, stucchi, mosaici. I lavori di Hirst completano la molteplicità di invenzioni e tecniche presenti nella collezione museale, mostrando l’incredibile abilità dell’artista di unire concetti e narrazioni con l’eccezionale capacità necessaria a creare queste complesse opere, che è stata una costante di questa istituzione.
Questo progetto nasce da una delle ricerche più originali di Hirst negli ultimi vent’anni: Treasures from the Wreck of the Unbelievable esposta per la prima volta a Venezia nel 2017 a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana. Qui aveva lavorato con materiali diversi – naturali, tecnologici e preziosi – con eccezionale tecnica e abilità. Realizzate in marmo, bronzo, corallo, cristallo di rocca, pietre dure e inserite tra i capolavori della collezione della Galleria, queste opere esaltano il desiderio di multiformità del suo fondatore, il Cardinale Scipione Borghese. La sua fantasia era stata di superare le categorie, non solo tra le arti, ma anche tra realtà e finzione.
La mostra presenta anche un gruppo di dipinti dalla serie di Hirst del 2016 intitolata Colour Space, che costituisce sia uno sviluppo degli Spot Paintings sia una rivisitazione della prima opera di quella serie in cui le macchie erano dipinte liberamente. Colour Space vede l’infiltrazione, nelle parole di Hirst, di “elementi umani”. Queste opere sono come “cellule al microscopio”. Rompono l’idea di una immagine unificata, fluttuano nello spazio, scontrandosi e fondendosi l’una nell’altra, con un senso di movimento che contraddice la stasi della tela.
Damien Hirst nasce nel 1965 a Bristol, cresce a Leeds e dal 1986 al 1989 studia belle arti al Goldsmiths College di Londra. Nel 1988 progetta e cura Freeze, una mostra collettiva divenuta il trampolino di lancio non solo per Hirst, ma per un’intera generazione di giovani artisti britannici. Dalla fine degli anni ‘80, realizza una vasta serie di installazioni, sculture, dipinti e disegni per esplorare le complesse relazioni tra arte, bellezza, religione, scienza, vita e morte. Con i suoi lavori – tra cui l’iconico squalo in formaldeide The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living (1991) e For the Love of God (2007), calco in platino di un teschio tempestato di 8.601 purissimi diamanti – investiga e sfida le certezze del mondo contemporaneo, ed esamina tutte le incertezze insite nella natura dell’uomo.
Dal 1987 sono state organizzate in tutto il mondo oltre 90 mostre personali e ha partecipato a più di 300 mostre collettive. Nel 2012 la Tate Modern di Londra ha presentato una grande retrospettiva sul suo lavoro in concomitanza con le Olimpiadi Culturali. Le mostre personali di Hirst includono, tra le altre, il Qatar Museums Authority, ALRIWAQ Doha (2013-2014); Palazzo Vecchio, Firenze (2010); l’Oceanographic Museum, Monaco (2010); il Rijksmuseum, Amsterdam (2008); l’Astrup Fearnley Museet fur Moderne Kunst, Oslo (2005); il Museo Archeologico Nazionale, Napoli (2004); Palazzo Grassi e Punta della Dogana a Venezia (2017). Nel 1995 vince il Turner Prize. Vive e lavora tra Londra, Devon e Gloucestershire.
Il catalogo della mostra, pubblicato da Marsilio in versione italiana e inglese, presenta testi critici di Anna Coliva, Mario Codognato, Geraldine Leardi e contiene le immagini dell’allestimento nel museo.