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Paolo rimprovera Pietro penitente

Guido Reni


Guido Reni, Paolo rimprovera Pietro penitente, 1609 circa, olio su tela, 197 x 140 cm, Milano, © Pinacoteca di Brera

Pietro e Paolo si affrontano nel proscenio del dipinto, con le mani tese in gesti eloquenti di scambio, gli sguardi incrociati sulla diagonale, sprigionando una intensità emotiva palpabile. Guido Reni, che dal primo soggiorno romano mostra inclinazione per l’espressione degli affetti, racconta in questo modo il “contrasto di Antiochia”, un episodio legato al Vangelo di Luca e ricordato nella Lettera ai Galati, dove Paolo rimprovera duramente Pietro per la sua ipocrisia verso la legge ebraica e per il tradimento di Cristo. La posizione seduta e contrita del principe degli apostoli sembra attuare una contaminazione iconografica che espande il tema al “pentimento di Pietro”, rendendo più complessa e ardita la macchina figurativa. 

Lo scorcio di paesaggio sul fondo, con castello turrito circondato da alberi e un cielo che vede digradare i toni plumbei e lividi subito sopra la testa di Paolo verso un panorama più chiaro e rasserenante, chiama in occasione di questa mostra un confronto con la sua Danza campestre, recentemente riacquisita alla collezione Borghese, dalla quale tuttavia sembra discostarsi. Se lì il paesaggio partecipa di una atmosfera vagamente incantata e gioiosa, l’orizzonte dietro i due apostoli è al contrario tenebroso, quasi oscurato dal balenare di un temporale, e induce un sentimento più drammatico, forse da connettersi alla scena stessa in primo piano. L’evoluzione da una idea di veduta leggera e brillante a una declinazione più “eroica” sostiene l’ipotesi che il dipinto risalga a un momento  avanzato rispetto a quello della Danza Borghese, a una più evidente maturità, e la data proposta è il 1609. 

L’incarico per la realizzazione del quadro risale al soggiorno di Guido a Bologna, nel 1603-1604, dove egli si reca in occasione dei funerali di Agostino Carracci e dove permane fino al suo secondo rientro a Roma. In quella occasione riceve la commissione dalla famiglia Sampieri, forse dall’abate Astorre, il quale entrerà in possesso dell’opera non prima del 1609, probabile anno della sua esecuzione: molte sono le testimonianze sulla lentezza con cui l’artista concludeva i propri lavori. 

Il quadro è collocato nella stanza che ospita la Paolina Borghese di Antonio Canova, intrattenendo con questa e con il suo autore un sottile legame. Il dipinto, ammiratissimo ancora alla fine del Settecento e all’inizio dell’Ottocento, fece parte della vendita della collezione Sampieri nel 1811 e, fra i dipinti di proprietà della famiglia Sampieri, aveva attirato l’attenzione del grande scultore neoclassico




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