IL MITO DEL BAROCCO
Con il suo titolo volutamente ambiguo, questa prima sezione intende introdurre un tema generale e insieme un tema specifico della mostra.
Peter Paul Rubens (Siegen, 1577-Anversa, 1640) è stato, secondo lo storico dell’arte del secolo scorso Giuliano Briganti, il ‘padre spirituale’ di quegli artisti italiani, tra cui Gian Lorenzo Bernini, che con le loro opere avevano sostenuto la maestà del pontificato di Urbano VIII (1623-1644). Coniata da poco più di due secoli per indicare l’arte di quegli anni (ma non solo), l’etichetta ‘Barocco’ sfugge ancora oggi a una definizione univoca negli studi. Problematici i suoi confini cronologici. Complessa la sua geografia. In discussione i suoi veri protagonisti. Forse, una sola certezza. All’origine della nascita di un linguaggio figurativo tanto nuovo e dirompente, che avrebbe animato l’Europa per quasi centocinquant’anni fino all’arrivo della stagione neoclassica, deve essere collocato proprio Rubens.
Ripartire in questa mostra dalla sua arte, nel contesto della Galleria Borghese, significa non fermarsi al ‘mito del Barocco’ e alla definizione teorica di un’etichetta, ma leggere le componenti di questo linguaggio europeo nel suo formarsi e nel suo primo propagarsi, tra la riscoperta della Natura (nel Prometeo incatenato di Philadelphia, in collaborazione con Frans Snyders) e la riscoperta dell’Antico (diversi i disegni nel percorso, tra cui quello realizzato dal pittore a Roma a partire dal Centauro Borghese, ora al Louvre). Con puntali cortocircuiti visivi, la mostra svela anche altre componenti dell’arte di Rubens, indagando la sua nuova grammatica del corpo umano e mettendo a fuoco il suo dialogo con grandi maestri della pittura italiana come Caravaggio, Leonardo e Tiziano. Per fare questo si è deciso di rivolgere un’attenzione constante al rapporto dell’artista con la scultura: quella antica, grazie alla quale Rubens comprese come dare vigore e vitalità alle sue creazioni pittoriche; e quella moderna (italiana e fiamminga), approdo di molte delle sue più geniali intuizioni formali.
Quella di Rubens non fu però solo una rivoluzione ‘formale’. Rappresentò anche l’avvio di una nuova codificazione iconografica di soggetti mitologici e storici, a partire da un’attenta rilettura del patrimonio rinascimentale italiano e di nuovo della statuaria antica. Nel corso del suo fondamentale soggiorno giovanile in Italia (1600-1608), avvenuto quando già era in possesso di una solida base di studi classici, l’artista imparò a mettere in scena nelle proprie opere i drammi degli eroi descritti da Ovidio nelle Metamorfosi (nella Morte di Adone dell’Israel Museum) e ad animare le composizioni con creature fantastiche come fauni e sileni, indagati nei bassorilievi romani (ad esempio il Vaso Borghese). Ha saputo donare nuova linfa vitale al mito antico, ma senza mai perdere di vista la realtàdel presente in cui stava vivendo.