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IL TOCCO DI PIGMALIONE


IL TOCCO DI PIGMALIONE
Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la Scultura a Roma. ph by A. Novelli © Galleria Borghese

Per ‘tocco di Pigmalione’, il mitico scultore che ottiene dagli dei la vita per una sua statua di cui si era innamorato, si intende la capacità di Rubens di trasformare nei suoi disegni e nelle sue tavole l’inerte marmo antico in vibrante materia pittorica.

In due fondamentali pagine latine del suo trattato frammentario L’imitazione delle statue, l’artista fiammingo spiega come avviene questo processo ‘transmediale’, ovvero di trasposizione di valori formali da una scultura a una pittura. Da evitare era innanzitutto l’imitazione pedissequa del modello antico, che avrebbe portato alla raffigurazione di statue dipinte, invece di soggetti ripresi dal vero. Il consiglio è messo in pratica da Rubens esemplarmente nelle sue prove grafiche, dove per tradurre il marmo in carne insiste sulle cosiddette maccaturae: le morbide pieghe della pelle tanto di uomini, quanto di animali (come nel collo del Toro Farnese raffigurato dall’artista a matita nera), accentuando le quali la figura appare viva e non scolpita.

L’Antico da cui prende le mosse Rubens è realtà già vitale. Si tratta di frammenti che sono stati integrati da restauri interpretativi importanti (come nel caso del Seneca morente) e talvotla anche di copie moderne che derivano dall’antico, come lo Spinario, oggi alla Galleria Borghese: una statuetta cinquecentesca, più accessibile nel Seicento rispetto al celebre bronzo capitolino. Come dimostrano i suoi disegni proprio davanti a quest’opera, in Rubens l’indagine della statuaria classica non confligge con la ricerca di naturalismo, ma ne è spesso la prima scintilla offrendo l’occasione per elaborare soluzioni compositive sulle quali il pittore torna a riflettere più volte negli anni.

Forse suggerita dallo Spinario, la posa della Susanna Borghese (datata al soggiorno giovanile di Rubens in Italia, ma attestata nella collezione di Scipione solo dal 1622) torna ad esempio in una più intima versione dello stesso soggetto, oggi a Stoccolma. Realizzata al rientro da Anversa insistendo sul morbido incarnato del nudo femminile, la tavola era destinata certamente a uno di quegli ambienti delle dimore private che nel suo trattato Le considerazioni sulla pittura Giulio Mancini aveva definito nei primi decenni del Seicento “camare ritirate”.




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