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Introduzione


INTRODUZIONE

Nota agli antichi, la pratica della pittura su pietra fu riscoperta da Sebastiano del Piombo forse già prima del
Sacco di Roma del 1527. Dopo il terribile evento, il pittore e i suoi committenti si illusero che i supporti litici
avrebbero reso la pittura indistruttibile e, quindi, eterna. La materia avrebbe inoltre consentito di rimediare
alla minore durata della pittura nei confronti della scultura, uno svantaggio sempre segnalato nel dibattito
sul paragone tra le due arti.

Nel Cinquecento a Roma si dipingeva spesso su grandi lastre di lavagna, con poche e imponenti figure, e la
pittura ricopriva completamente la superficie dell’opera. Il supporto assume un valore simbolico, alludendo
ad esempio alla solidità della chiesa cattolica, o ai concetti di vita eterna e resurrezione. I numerosi ritratti
su pietra di Francesco Salviati e Daniele da Volterra, oltre che di Sebastiano, sottolineano la solidità morale
dell’effigiato, la sua eccezionalità, il carattere esemplare delle sue azioni. Per analogia con la pietra di
paragone, che rivelava l’autenticità dell’oro, la pietra nera viene considerata in grado di rivelare valore e
verità e mantiene questo significato anche nel secolo successivo.

Un carattere originale della pittura su pietra del Seicento è il proliferare di supporti colorati, in cui le
venature diventano parte integrante della composizione, in modo che la capacità creativa del pittore e
quella della natura si combinino senza sopraffarsi a vicenda. Antonio Tempesta e Filippo Napoletano sono i
più abili esponenti di questo genere, in cui il pittore idealmente fornisce un concetto che lega l’immagine al
supporto. È compito dello spettatore, anche di quello odierno, decifrare l’enigma, mettendo in relazione la
pietra e l’immagine dipinta su essa e il significato di questa associazione: la relazione con la scultura, il gioco
di metafore con la poesia, l’eternità della fede. Inoltre, da quanto sappiamo del loro uso e della loro
circolazione, si credeva che questi oggetti avessero un effetto curativo o anche un potere magico.

In mostra sono esposte più di 60 opere, alcune provenienti dalla collezione Borghese, che testimoniano la
nascita del genere a Roma fino al suo tramonto verso metà Seicento. Il suo declino è dovuto in parte alla
realizzazione della fragilità intrinseca della pittura su pietra, che dimostrò di potersi incrinare e fratturare e
di essere tutt’altro che indistruttibile. Il percorso ci accompagna alla scoperta di una ricchezza nascosta
all’interno delle collezioni, ci avvicina a una forma di opera d’arte che si poteva toccare, ma che soprattutto
andava osservata da vicino e con molta attenzione, lasciandosi incantare dall’abilità dell’artista e
dall’energia creativa della natura stessa. Un’alleanza che la mostra cerca di riportare al centro del nostro
sguardo e del nostro pensiero.




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