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INTRODUZIONE – IL CAVALIER MARINO ALLA GALLERIA BORGHESE


INTRODUZIONE – IL CAVALIER MARINO ALLA GALLERIA BORGHESE
Installation view, ph. by A. Novelli © Galleria Borghese

Giovan Battista Marino (1569-1625) è il maggiore poeta del Seicento, noto per il grande poema dell’Adone (1623) e per La Galeria (1619), una raccolta di centinaia di componimenti costruiti in rapporto ad altrettante opere d’arte.

Egli è testimone delle più grandi collezioni d’arte del suo tempo, ammirate in una vita che lo ha portato in giro per l’Italia e poi in Francia, prima del ritorno a Roma nel 1623, al culmine della gloria. Un ritorno però drammatico, a causa delle accuse di eresia che lo costringono all’umiliazione di una pubblica abiura e all’esilio a Napoli, dove muore nel 1625. In questa vita avventurosa, Marino incrocia tutti i protagonisti dell’arte della sua epoca, tessendo relazioni con molti di loro, dei quali colleziona disegni e dipinti. Obiettivo della mostra è, dunque, attraverso la lente offerta dagli scritti mariniani, rileggere il rapporto tra scrittura e arte nella stagione del primo Seicento, nel momento della nascita del Barocco in letteratura.

Il percorso vuole anche provare a intrecciare la collezione ideale di Marino con quella iniziata a costruire dal cardinale Scipione Borghese (1577-1633). Il poeta e il porporato, entrambi amatori d’arte e tra i personaggi più influenti del loro tempo, raccolsero e commissionarono dipinti provenienti da tutta Italia, pur nella differenza dovuta alla loro enorme distanza sociale. I due non ebbero però buoni rapporti: Marino tentò più volte di ingraziarsi il potente cardinale, ma questi rimase tra i suoi principali avversari, insofferente alla licenziosità delle sue opere, e tra i responsabili delle accuse dell’Inquisizione che portarono alla condanna di Marino nel 1623.
Nel percorso della mostra l’opposizione tra il cardinale e il poeta si dissolve in nome della comune passione per lo splendore delle opere d’arte, descritte, celebrate, collezionate.

 

 

«Di me in Roma son stati fatti mille ritratti»: così scrive Giovan Battista Marino nel 1623, tornato nell’Urbe dopo un trionfale soggiorno parigino. I ritratti del poeta furono certamente molti e di autori eccellenti, come quelli perduti di Caravaggio, Simon Vouet, Guido Reni. Tra i superstiti spicca quello magnifico di Frans Pourbusche mostra il poeta orgoglioso con il libro, simbolo dei suoi successi e del suo ingegno poetico, lo strumento con il quale ha ottenuto la croce di Cavaliere.
Solo un anno dopo la morte del poeta, il fiorentino Francesco Furini avrebbe dipinto il ‘manifesto’ delle arti sorelle, il sodalizio tra Poesia e Pittura che informa tutta la produzione mariniana. Difatti, grazie ai sommi maestri del Rinascimento italiano, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Correggio, Tiziano, la Pittura nel Cinquecento trionfa sulla Poesia, e di questa supremazia «danno eloquente testimonianza gli sforzi dei poeti di gareggiare con i pennelli nelle loro sensuali descrizioni» (Praz). Le ‘favole’ dipinte da Raffaello, Correggio, Tiziano, e più tardi Luca Cambiaso e Jacopo Tintoretto, ispirandosi ai miti descritti nei capolavori letterari dell’antichità, fecero la fortuna nel Seicento di queste ‘poesie’ figurate, che, come si vedrà nelle successive sezioni, nutriranno costantemente la vena poetica di Marino e guideranno i suoi appetiti di collezionista.

 




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