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LA GALLERIA BORGHESE RACCONTA UN CAPOLAVORO: IL SONNO DI ALGARDI


LA GALLERIA BORGHESE RACCONTA UN CAPOLAVORO: IL SONNO DI ALGARDI

Alessandro Algardi, autore di questa languida scultura, è arrivato a Roma dalla natia Bologna durante il pontificato di Gregorio XV Ludovisi, grande protettore degli artisti bolognesi. Qui Algardi si legò in amicizia con Domenichino, che lo aiutò ad affermarsi. La sua produzione è improntata a un classicismo mitigato dal gusto per il naturale e da moderati elementi barocchi. Uno stile diverso rispetto a quello imperante di Bernini e che trovò spazio soprattutto durante il pontificato di Innocenzo X, che lo preferiva e lo incaricò di lavori importanti.

La commissione ad Algardi della scultura de Il Sonno è avvenuta tramite la mediazione di Marcello Provenzale, il grande mosaicista che aveva già lavorato per Scipione Borghese. Esistono due documenti di pagamento allo scultore del 1635-36 “a bon conto del lavoro di un Putto in pietra di paragone” firmati da Marcantonio Borghese, cugino e erede del cardinale. Il biografo Passeri ipotizza che Algardi avesse eseguito l’opera in marmo nero di Fiandra (detto impropriamente pietra di paragone), che è più duro del marmo statuario, per sfatare la maldicenza che non sapesse più scolpire il marmo: in attesa dei lenti pagamenti per le opere maggiori l’artista si teneva occupato eseguendo piccoli lavori e questo aveva alimentato la diceria. Provenzale sovrintese anche alla realizzazione del piedistallo in legno per la scultura. Algardi disegnò due anfore, pure in marmo nero, che all’epoca accompagnavano la scultura e che furono intagliate da Silvio Calci. In virtù di questa collocazione accanto al Sonno, nel Settecento l’archeologo de Montfaucon pensò fossero destinate a contenere liquidi soporiferi.

La scultura è ispirata a un prototipo ellenistico molto diffuso nel Seicento. Il putto dormiente, abbandonato mollemente su un lenzuolo, ha gli attributi iconografici propri delle raffigurazioni antiche dell’Hypnos greco o del Somnus romano: le ali, che battono senza far rumore (come le ali di farfalla della scultura), e i fiori di papavero con cui vengono sfiorati gli occhi degli uomini, inducendo l’oblio. Nell’età classica il Sonno era raffigurato come un ragazzo, ma nel periodo ellenistico invalse la raffigurazione come putto, che si è affermata nei secoli.

L’uso del marmo nero rafforza il significato dell’allegoria: nera è infatti la terza fase della notte, come viene descritta nell’Iconologia di Cesare Ripa, ed è accompagnata da un ghiro, come quello che vediamo acciambellato accanto al putto. L’opera esprime piacevolezza, ma anche ambiguità e languore nell’abbandono totale del dormiente che stringe i fiori carichi di oppio. Il soggetto comunque ebbe successo e diffusione. Alla Galleria Spada ne è conservata una copia in marmo bianco, in cui il putto è in una culla lignea.

La scultura di Algardi mostra una frattura antica, di cui non si conosce la causa, che è stata saldata con una grappa nascosta. In passato era collocata in una sala al primo piano della Villa, detta appunto nelle antiche descrizioni ‘sala del Sonno’. Oggi si trova nella sala XV.

 




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