LA GALLERIA BORGHESE RACCONTA UN CAPOLAVORO: LA DANAE DI CORREGGIO
Secondo il mito classico, Danae era la figlia del re di Argo Acrisio, al quale un oracolo aveva profetizzato che sarebbe stato ucciso dal nipote. Il re allora fece imprigionare Danae in una torre, affinché non si sposasse e non avesse figli. Ma Zeus guastò i piani del re: si invaghì della ragazza e per sedurla si trasformò in pioggia d’oro e discese su di lei. Danae da questo amore divino partorì Perseo, che avverò la profezia e per un errore, durante una gara di lancio, del disco uccise il nonno.
La tela con la Danae venne eseguita da Correggio intorno al 1530/31. Faceva parte di una serie di quattro dipinti, che raffiguravano gli amori di Giove e che furono commissionati al pittore da Federico II Gonzaga, signore di Mantova, secondo quanto afferma Vasari. Oltre alla Danae, facevano parte della serie Giove e Io, Ganimede e l’aquila, Leda e il cigno. I dipinti sarebbero stati un magnificente dono all’imperatore Carlo V, come ringraziamento da parte del Gonzaga per essere stato elevato da marchese a duca. Un omaggio cortigiano e cortese, in cui la figura di Giove alludeva con buone probabilità all’imperatore stesso, attraverso l’elemento dell’aquila, attributo del dio e emblema imperiale.
Con grande naturalezza, con la sensibilità espressiva che lo caratterizza, Correggio ha raffigurato un episodio dal tema esplicitamente erotico. E lo ha fatto senza forzature e ammiccamenti, esprimendo una sensualità forte ma gaia e spontanea. La Danae di Correggio è un’adolescente emozionata e incuriosita da quanto sta per accadere: la nuvola d’oro appare su di lei e le prime gocce cominciano a cadere. La ragazza sposta il lenzuolo, simbolo del velo virginale, per accogliere il dio, sorridente. Accanto a lei, un genio alato- forse Cupido o forse Imeneo, protettore delle nozze- la aiuta a scoprirsi, mentre nella mano raccoglie le prime gocce di pioggia. Mano che è intenzionalmente puntata verso il ventre della ragazza, sottolineando così lo schietto erotismo della composizione.
I due piccoli amorini nell’angolo in basso sono totalmente assorti a strofinare punte di freccia sulla pietra di paragone, usata dagli orafi per verificare l’autenticità dell’oro: perché un dardo suscita l’amore e uno lo scaccia, come scrive Ovidio. Correggio è uno degli artisti che ha rappresentato con maggior acume psicologico e tenerezza le espressioni naturali e gli atteggiamenti dei bambini.
Il dipinto è stato acquistato a Parigi nel 1827 dal principe Camillo Borghese. L’opera venne importata a Roma, destinata al Palazzo in Campo Marzio, ma con un’attribuzione a Correggio dubbia. Si trattava di una scappatoia ideata da Evasio Gozzani, incaricato d’affari del principe, per evitare di pagare dazi doganali troppo alti imposti dal governo pontificio. Una volta a Roma, i maggiori artisti e conoscitori si espressero per l’autenticità, evidente, come scrisse Vincenzo Camuccini in una lettera, “nella vaghezza delle masse del chiaroscuro, nella lucidezza e trasparenza del colore, nella fluidità, e dolcezza di dipingere i capelli (..)”. Quando il dipinto venne esposto nel palazzo, si pensò di dotarlo di una tendina verde per poterlo coprire, raffigurando “un fatto un poco lussurioso” che avrebbe potuto dare adito a critiche.
La tela è arrivata nella Villa Pinciana nel 1891.