LA GALLERIA BORGHESE RACCONTA UN CAPOLAVORO: PAOLINA BORGHESE
Capolavoro iconico della Galleria, il ritratto di Paolina Borghese è stato commissionato dal principe Camillo Borghese a Antonio Canova nel 1804 e fu terminato nel 1808.
Camillo Borghese aveva sposato Paolina Bonaparte, la bella e vivace sorella di Napoleone, nel 1803 a Parigi. Il Primo Console, che di lì a un anno sarebbe diventato imperatore, fu ben contento di imparentarsi con una nobilissima famiglia romana. Paolina aveva 23 anni e era già vedova. Il primo marito, il generale Leclerc, era morto di una malattia tropicale a Santo Domingo dove Napoleone lo aveva spedito insieme alla moglie, ufficialmente per sedare una rivolta indigena, ma in realtà per soffocare lo scandalo provocato a Parigi dalla condotta libertina di Paolina. Camillo la sposò senza neanche aspettare la conclusione dell’anno di vedovanza di lei e si trasferirono a Roma a Palazzo Borghese, dove Paolina poté riprendere la vita di sfarzo e divertimenti che tanto amava. La principessa gradiva anche passeggiare nel parco della Villa e ne chiuse una parte alla fruizione dei romani (che da sempre avevano avuto la possibilità di andare a spasso nei giardini della Villa), alienandosene le simpatie.
Sebbene il matrimonio non fosse particolarmente felice, Camillo convocò l’artista più illustre del momento per il ritratto della bellissima moglie. Numerosi furono i pettegolezzi che fiorirono circa la nudità della scultura e l’eventualità che la principessa avesse posato svestita per l’artista (lei stessa avrebbe affermato maliziosamente “ogni velo può cadere dinanzi al Canova”): si tratta tuttavia di un ritratto ideale, che rientra nel cosiddetto genere “grazioso” della produzione canoviana. Paolina è rappresentata come Venere, vincitrice del giudizio di Paride, come ci indica la mela che tiene nella mano: la più bella fra le dee.
Canova ha espresso in quest’opera altissima una summa della propria cultura figurativa e ne ha fatto un’icona del proprio singolare neoclassicismo. La posa della principessa, distesa su un’elegante “agrippina” – una sorta di chaise-longue stile Impero molto in voga all’epoca – rimanda al repertorio classico, alle sculture etrusche e romane sdraiate sui sarcofagi; ma anche alla tradizione della pittura veneta del Cinquecento, alle Veneri tizianesche.
Della scultura esistono numerosi disegni preparatori e il gesso originale canoviano (conservato nella Gipsoteca di Possagno) che mostra ancora i “punti”, i riferimenti utili per il trasferimento della scultura in marmo. Sappiamo che Canova lasciava questa operazione ai suoi assistenti, riservando a sé stesso “l’ultima mano”, ovvero quella levigatura paziente, con abrasivi sempre più sottili, che portava all’effetto della “vera carne” e che si esaltava nella visione a lume di candela. Nella Paolina, Canova ha steso sul marmo, come finitura, l’acqua di rota, che dava alla superficie più lucentezza.
Stupefacente la resa del materasso che pare affondare morbidamente sotto il peso della dea. Questo effetto di verosimiglianza aveva un precedente illustre: il materasso che Bernini aveva scolpito per l’Ermafrodito appartenuto a Scipione Borghese e che proprio negli anni in cui la Paolina veniva scolpita prendeva la via di Parigi, venduto a Napoleone insieme ad altre centinaia di opere. Canova, che si era opposto fieramente alla vendita dei marmi Borghese, ne restituisce una versione neoclassica.
Sotto all’agrippina è nascosto il meccanismo originale, tuttora funzionante, che permette alla scultura di girare e mostrarsi a 360°.
Paolina Borghese Bonaparte come Venere Vincitrice
Antonio Canova
marmo di Carrara, h cm 92, con il letto cm 160