LA NASCITA DELLA SCULTURA ‘PITTORICA’
Le statue femminili di Bernini assomigliavano a ‘balie fiamminghe’ per i viaggiatori che alla fine del Settecento arrivavano a Roma dal Nord Europa, secondo i quali non c’erano dubbi che tra Rubens e lo scultore italiano corresse una qualche affinità formale. Le mani di Plutone affondate nella carne di Proserpina erano una prova di ‘fiamminghità’, secondo lo scrittore tedesco August Wilhelm von Schlegel. Nell’aver gareggiato con la pittura nei temi e nelle forme, nell’adesione al dato naturale e nell’espressività, la scultura di Bernini veniva accusata di aver oltrepassato i confini che le erano propri ed essere diventata ‘pittorica’: un’espressione che alla fine dell’Ottocento sarebbe stata innalzata a categoria della storia dell’arte dal critico Heinrich Wölfflin.
Per molti aspetti all’origine stessa della definizione del Barocco, il rapporto tra Rubens e Bernini continua a restare sfuggente negli studi. Sappiamo che negli anni trenta del Seicento, mentre dimora con la seconda moglie Helena Fourment nella tenuta di Het Steen, vicino ad Anversa, il pittore non perde occasione per informarsi su quanto sta succedendo in Italia, dove Bernini ha appena innalzato il Baldacchino di San Pietro ed è l’artista di riferimento di Urbano VIII. Per Rubens l’attenzione alla scultura non è solo un problema antiquario, ma coinvolge anche lo studio di oggetti plastici diversissimi tra loro: moderni come antichi, marmorei come metallici, statuari quanto numismatici.
Più complesso è capire in che modo Bernini si accosta negli anni venti, mentre è al lavoro ai gruppi borghesiani, alle novità rubensiane. In questa sfida tra le due arti, l’artista fiammingo dovette apparire allo scultore italiano come il campione di un linguaggio pittorico estremo, con cui confrontarsi: per lo studio intenso della natura (esemplari i suoi disegni di Leoni); per la raffigurazione del moto e dei ‘cavalli in levade’ (nel San Giorgio del Louvre), suggeriti dalla grafica vinciana e affrontati da Bernini nei suoi marmi senili con la stessa leonardesca «furia del pennello» riconosciuta da Bellori al maestro di Anversa; infine anche per i suoi ritratti, dove l’effigiato sembra cercare il dialogo con lo spettatore, proprio come accadrà nei busti dello scultore italiano per i quali è stata coniata la felice espressione di ‘speaking likeness’.