L’ADONE TRA SACRO E PROFANO
La genesi dell’Adone accompagna tutta la carriera di Marino, divenendo nel corso degli anni il centro della sua scrittura. Il mito, raccontato nelle Metamorfosi di Ovidio, narra l’amore di Venere per il giovane, coronato dall’unione sessuale e conclusosi in tragedia, con l’uccisione di Adone da parte di un cinghiale a causa della gelosia di Marte.
Nel corso del Cinquecento diversi letterati si dedicano al tema e sul mito di Adone sono incentrati alcuni capolavori pittorici di Tiziano, Veronese e Tintoretto. Marino inizia a comporre l’Adone nel corso della sua giovinezza a Napoli, e poi lo tiene con sé per molti anni, continuando a lavorarci. Il poema, all’inizio di misure contenute, dopo il 1615 si dilata fino a diventare lunghissimo, venti canti per oltre quarantamila versi. Pubblicato a Parigi nel 1623, l’Adone diventa così il capolavoro per eccellenza del Barocco in poesia: un’opera impastata di materia figurativa, seguendo la grande passione di Marino per l’arte.
In questa sezione i dipinti restituiscono il mito in relazione al poema: da un lato gli amori, con le opere di Cambiaso e Palma il Giovane, dall’altro, quelle di Scarsellino, Turchi, de la Hyre, e Poussin, che mettono in scena il lamento di Venere sul corpo di Adone morente, in un atteggiamento che evoca il pianto della Vergine sul Cristo deposto. In tutto il poema Marino gioca difatti sulla contaminazione tra sacro e profano, una scelta rischiosa che finirà per determinare la condanna dell’Adone e il suo inserimento all’Indice dei libri proibiti.