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RUBENS E TIZIANO


RUBENS E TIZIANO
Il Tocco di Pigmalione. Rubens e la Scultura a Roma. ph by A. Novelli © Galleria Borghese

Durante il suo soggiorno alla corte spagnola, fra il 1628 e il 1629, Rubens eseguì numerose copie da Tiziano, pittore che non si stancò mai di osservare, nei suoi viaggi alla scoperta dell’Italia nel primo decennio e ogni volta che riuscì ad averne l’occasione. In questa stanza, l’Amor sacro e Amor profano, capolavoro giovanile di Tiziano e Venere che benda amore, fra gli altri quadri dell’artista, rendono immediatamente comprensibile uno dei motivi per cui la collezione di Scipione Borghese fosse intensamente visitata dagli artisti. Antoon van Dyck, durante il suo passaggio romano all’inizio degli anni Venti, li disegnò  e riutilizzò in particolare la figura della nuda e l’accordo fra le carni bianche e il panneggio rosso per la sua Susanna oggi a Monaco; il fascino esercitato sull’artista anche da altre opere della raccolta, come i Tre eroti addormentati attribuito al fiammingo Egidio della Riviera, si può afferrare sfogliando il suo taccuino di disegni italiani, come si può fare, digitalmente, nella mostra.

Pittura e scultura, dunque, di soggetto profano e del Cinquecento, interessi ereditati e condivisi da Rubens, che probabilmente non fece in tempo a vedere a Roma i due straordinari dipinti di Tiziano, ma che invece si ricordò dei tre putti addormentati  in opere del secondo decennio. Lo studio dei bambini tizianeschi, apparsi in massa a Roma con il trasferimento dei Baccanali  dal castello di Ferrara alla collezione di Pietro Aldobrandini, a partire dal 1598, e l’attenzione che gli artisti immediatamente cominciarono a dedicare all’Offerta a Venere, oggi al Prado, è stato fondamentale per la realizzazione, in scultura, di bambini paffuti e affaccendati in giochi e danze nella natura. In Galleria si trova il Baccanale di putti in marmo nero su lapislazzulo, di cui una lunga tradizione attribuisce il disegno a François Duquesnoy, lo scultore fiammingo attivo a Roma negli anni Venti, che traspose più volte nel rilievo i putti tizianeschi, come si può vedere anche nel singolare pezzo in prestito dal Rubenshuis di Anversa, con un simile sfondo di lapislazzulo, in questa sezione. Guardare aa Tiziano voleva dire non solo raffigurazione sensuale dei personaggi del mito, in particolare Venere e Cupido, ma adottare la versione più pagana del mito stesso, che si poteva studiare direttamente sui marmi o già trasposto nella gioia del colore veneziano. Uno dei pezzi più ammirati nella collezione Borghese, ritornato a Roma in occasione della mostra, era il gruppo delle Tre Grazie, che dava addirittura il nome a una delle stanze della palazzina. Anche se non siamo certi che Rubens possa averlo osservato dal vero, le citazioni affiorano nelle sue opere successive. Il gioco fra pittura rinascimentale, esempi della scultura antica e invenzione ha il suo perno, in questa sezione, nel Giudizio di Paride del Prado. In un soggetto che ripete più volte, in vari formati e su ogni supporto nel corso della sua carriera,  Rubens mostra un altro lato della sua esplorazione della scena all’antica: le figure sono eleganti e allungate, tanto da far pensare a una rivisitazione in chiave manierista e nordica della contesa fra le dee, finita, ancora una volta, con la vittoria di Venere.

 




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