SANDRO BOTTICELLI E AIUTI, MADONNA CON IL BAMBINO, S.GIOVANNINO E ANGELI
I tondi dipinti destinati all’arredo devozionale domestico ebbero grandissima popolarità nel Rinascimento, in particolar modo in Toscana. Botticelli ne eseguì alcuni di squisita fattura, come la celeberrima Madonna del Magnificat. Il tondo conservato nella sala IX della Galleria, che proviene dalla collezione del cardinale Salviati, è stato eseguito intorno al 1488/90: appartiene quindi a una fase della produzione dell’artista dove già si vedono alcuni indizi della svolta stilistica e religiosa che caratterizzerà la sua opera dopo la predicazione di Savonarola, con figure più plastiche ma meno leggiadre.
La Madonna e il Bambino sono chiusi all’interno di un complicato recinto marmoreo a gradini. Ai loro piedi un San Giovanni Battista inginocchiato, di dimensioni particolarmente piccole rispetto alle altre figure. Può trattarsi di un espediente per sottolineare la giovane età del santo, o un richiamo a tradizioni medievali che volevano il personaggio di minore importanza rappresentato di dimensioni inferiori; o può essere semplicemente frutto di uno sgraziato intervento della bottega, che ha ampiamente partecipato all’esecuzione del dipinto. Il Bambino ha in mano una melagrana, simbolo della Passione (i chicchi rossi richiamano il sangue che verrà versato) annunciata dal Battista e che il Bambino accetta, mentre la madre lo protegge con il suo abbraccio affettuoso. Il recinto che racchiude il gruppo può essere un’allusione a Maria come “hortus conclusus”, giardino chiuso. Intorno un coro di angeli canta: i loro volti, simili a quelli di altri dipinti botticelliani coevi- come la Madonna della melagrana – sono segno del riutilizzo degli stessi cartoni all’interno della bottega. Gli angeli hanno ghirlande di rose sul capo e sorreggono gigli; altre rose sono nei grandi vasi dorati che concludono la composizione. Anche i fiori sono un riferimento mariano: nelle litanie Maria è chiamata “rosa mistica”, nel Cantico dei Cantici la Sposa è definita “giglio fra i cardi”.
I vasi di fiori alle spalle dei personaggi sacri saranno oggetto di un curioso riutilizzo letterario, poiché saranno di ispirazione a Gabriele D’Annunzio. Il poeta nelle sue amate passeggiate romane andava spesso a Villa Borghese e visitava la Galleria. E descrisse i vasi in un passo de Il Piacere, nel I capitolo:
“(…) dalle due piazze il romorio confuso e continuo, salendo alla Trinità de’ Monti, alla via Sistina, giungeva fin nelle stanze del palazzo Zuccari, attenuato.
Le stanze andavansi empiendo a poco a poco del profumo ch’esalavan ne’ vasi i fiori freschi. Le rose folte e larghe stavano immerse in certe coppe di cristallo che si levavan sottili da una specie di stelo dorato slargandosi in guisa d’un giglio adamantino, a similitudine di quelle che sorgon dietro la Vergine del tondo di Sandro Botticelli alla Galleria Borghese. Nessuna altra forma di coppa eguaglia in eleganza tal forma: i fiori entro quella prigione diafana paion quasi spiritualizzarsi e meglio dare imagine di una religiosa o amorosa offerta. Andrea Sperelli aspettava nelle sue stanze un’amante.”
L’amante era la fascinosa Elena Muti e i mistici fiori botticelliani divennero lo sfondo di una sensuale scena d’amore del romanzo più iconico del Decadentismo italiano: un ribaltamento di senso sottilmente perverso.