La collezione e il colore delle pietre
L’interesse per la pittura su pietra a Roma è legato al collezionismo antiquario e alla passione per i marmi antichi: in un gioco fra arti sorelle, gli scultori usano marmi colorati e i pittori dipingono su pietra, mentre metalli e legni preziosi concorrono alla creazione di oggetti straordinari, come piccoli altari, stipi e orologi, dalle forme architettoniche complesse e adorni di piccole sculture, rilievi e pittura. Straordinari esempi sono il piano di tavolo Borghese e lo stipo appartenuto alla famiglia, in origine probabilmente eseguito per il portoghese Luigi Gomez (attualmente al Getty Museum). Specialista nella tecnica dell’intarsio di pietre dure fu lo scultore Giovanni Battista Della Porta, i cui eredi vendettero ai Borghese innumerevoli marmi colorati e statue antiche, compreso il leone di alabastro in mostra.
Inseriti in questi oggetti i dipinti su pietra, che di per sé non erano molto costosi, acquistavano un valore economico e simbolico. I reliquiari, considerati le dimore terrene del corpo o di alcune parti del corpo dei santi, con il loro splendore di pietre dure evocavano il fulgore della loro fede. Nell’orologio dei Musei Capitolini, la solidità e la durezza del lapislazzulo e del diaspro contrastano con l’inafferrabile scorrere del tempo.
Fino al primo Seicento a Roma molte pale d’altare furono dipinte su lavagna. Impossibili da trasportare, sono qui evocate dalla grande lastra di Francesco Albani raffigurante la Madonna con Bambino e angeli. L’iconica immagine devozionale ricorda che il Bambino è la pietra viva su cui si fonda l’edificio della comunità dei credenti. In maniera simile Alessandro Algardi usa il materiale per conferire significato; il marmo nero della sua Allegoria del sonno richiama l’oscurità della notte, ma come la pietra di paragone svela anche la qualità della scultura, rivelando così l’abilità dell’artista che era stato malevolmente criticato.